Assemblea nazionale del Pd: un nuovo punto di partenza
Sabato e domenica si è tenuta, presso la Nuova Fiera di Roma, l’Assemblea Nazionale del Partito Democratico. Si tratta dell’organo più importante nel Pd in quanto eletto insieme al Segretario Nazionale nel corso delle primarie del 25 ottobre.
Lo slogan della due giorni era “PdOpen” per evidenziare i caratteri “aperti” e popolari del Pd che, soprattutto nel corso di questa segreteria, tende a contraddistinguersi come “il partito del lavoro”.
Era la seconda volta che si riuniva questo organismo (l’ultima convocazione risaliva al 7 novembre…una pura casualità!) e i commenti sono stati, da parte di quasi tutti i commentatori “d’area”, più che positivi.
La relazione di Pierluigi Bersani ha evidenziato gran parte dei problemi e delle insanabili contraddizioni del governo e della maggioranza di centrodestra. Ma si è concentrata soprattutto su determinati temi politici (i famosi 10 temi cardine del Pd), che il partito dovrà portare avanti, e sulla situazione all’interno del partito.
Quest’ultimo punto non era solo atteso da gran parte della stampa per i suoi elementi più “gossippari” o per le possibili strumentalizzazioni sul tema. Ma anche perché si temeva una forma di scontro, o comunque una forma di manifesta contrarietà, in merito ad alcuni temi caldi riguardanti le modifiche dello statuto del partito. Scenario che secondo taluni vedeva nella brevissima polemica sulle primarie (di cui abbiamo parlato anche in questa rubrica) la prova generale di scontri fratricidi e polemiche a non finire.
Pare di aver visto un altro film. E qualcuno addirittura se ne stupisce.
I gruppi di lavoro (sei) costituiti in Assemblea hanno discusso delle principali tematiche politiche “intra” ed “extra” partito.
Già nei giorni precedenti erano arrivate anticipazioni soprattutto su due singoli argomenti: quello delle riforme istituzionali e quello dell’università.
Sulle riforme istituzionali infatti (ricordiamo che il responsabile di questo forum all’interno del partito è Luciano Violante) era giunta voce che, dopo una serie di morigerate consultazioni, si era arrivati ad una quadra dopo che le differenze all’interno del Partito erano già state bollate come insormontabili: il premierato accompagnato da una legge elettorale maggioritaria con collegi uninominali sembrava infatti, e sembra, la strada maggiormente gradita all’interno del partito.
E da un certo punto di vista appare ben più simbolico, anche se meno interessante per certo giornalismo di maniera, la condanna alle “baronie” giunta da chi all’interno del partito poneva come scelta strategica una precisa presa di posizione sul tema a seguito delle prime occupazioni universitarie dovute alla protesta contri i tagli della riforma Gelmini.
Fatto sta’ che nel corso dell’assemblea si è parlato con molta franchezza e chiarezza: non ci sono state le paventate imboscate e gli interventi di Franceschini e Marino (che in quanto sfidanti di Bersani alle primarie apparivano come quelli potenzialmente più critici) hanno elogiato la relazione di Bersani e difeso l’operato del partito.
All’interno dell’Assemblea si sono registrate delle divergenze, ma a onor del vero su temi prettamente contenutistici: stiamo parlando delle due proposte riguardanti il mercato del lavoro (e dunque anche tutto ciò che ne consegue nel campo della previdenza sociale): una proposta da Pietro Ichino e un’altra da Stefano Fassina, responsabile economico del Pd. La seconda ha avuto la meglio nella commissione tematica e ciò ha creato a qualche fibrillazione che però non supera la legittima proposta di Ignazio Marino di far votare, su questo tema, gli iscritti utilizzando un referendum interno sul tema. Cosa tra l’altro presente e prevista nello statuto.
Il maggior decentramento, che raddoppierà la quota di fondi destinati agli “enti locali” e ai territori, secondo alcuni può essere lo strumento per dare un forte segnale di svolta in questo ambito. Pur ribadendo che le attuali, ma non perenni, fortune della Lega non sono tanto dovute ai gazebo ma al presidio costante, e in chiave populista, di singoli temi. Temi molto utili ai fini elettorali ma che impediscono una globale discussione sul tema e la sua conseguente soluzione in sede politica.
Ma il vero punto di partenza che si può cogliere in questa due giorni, a mio modesto parere, è quella che forse ha maggiormente interessato i mass media (che però forse in questo caso ci hanno preso): la parolaccia di Bersani.
E non tanto perché la frase dà un tocco di colore in più alla discussione politica, ma perché ha il grande merito di porre al centro dell’agenda politica l’eroicità di quella figure semplici, umili e combattive oggi rappresentate dagli insegnati (mentre alle critiche del centrodestra si può rispondere semplicemente blandendo il vecchio slogan ghediniano “Parrucconi!” aggiungendo “chi di voi non ha mai detto una parolaccia in vita sua!?! Moralisti!”).
Insegnanti che lottano, disponendo di pochi fondi e di poca considerazione sociale, contro il degrado e l’abbandono scolastico ponendo come base della loro azione lo sviluppo della società tutta. Che parte propria dalla scuola.
E’ un concetto un po’ da “milite ignoto”: proprio perché non conosco questa persona, per me è un eroe. Perché rappresenta la normalità. Proprio perché figura “spersonalizzata”.
I totalitarismi e le dittature hanno bisogno di grandi uomini, forti e capaci di reggere con forte autoritarismo il timone del comando. Alla democrazia, in tempi di pace e concordia, basterebbero solo dei grandi democratici.