La bufala dei 7 milioni di “bamboccioni”

Pubblicato il 28 Maggio 2010 alle 09:45 Autore: Fabio Chiusi
La bufala dei 7 milioni di “bamboccioni”

Bamboccioni” o no, è il caos sui dati contenuti nel rapporto dell’Istat, pubblicati il 26 maggio e riportati da tutta la stampa italiana, riguardanti il fenomeno dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione (“Neet”: No Education, Employment, Training).

La versione “ufficiale”, quella raccontata in Parlamento dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini, parla di due milioni di ragazzi che, come titola (poco felicemente) La Stampa del 27 maggio a p. 10, sono “a spasso“. A leggere la prima pagina del Corriere della Sera, allora, c’è da saltare sulla sedia:

L’Italia ha il più alto numero, in Europa, di “bamboccioni”. Ragazzi che non lavorano e non studiano: sono 7 milioni.

E da dove vengono quei 5 milioni in più? Lo spiega lo stesso Corriere, che a p. 20 implicitamente rettifica:

[…] i 18-34enni che vivono con i genitori sono passati dal 49% del 1983 al 58,6% del 2009. Sono circa 7 milioni […].

Insomma, “oltre due milioni di giovani nel 2009 non hanno né lavorato né studiato”. Ma come, non erano sette?

Libero parla di “giovani svogliati, non competitivi, creativi solo a chiacchiere” – che restano, comunque, due milioni. Non così secondo Il Giornale, che titola a tutta pagina (9):

La bufala dei 2 milioni di bamboccioni. Il rapporto Istat strumentalizzato: si enfatizza il numero di quelli che “non studiano e non lavorano”. Un dato che non tiene conto di distorsioni statistiche e sommerso. Ma la disoccupazione in realtà è bassa.

Guai a confondere i dati sull’occupazione giovanile con quelli sulla disoccupazione giovanile, argomenta Claudio Borghi, dato che solo chi cerca attivamente lavoro ma non lo trova rientra nella seconda categoria, quella “sempre indice di disagio”. Secondo Borghi, infatti, la prima include al più “situazioni che, magari non saranno ottimali, ma non sono certo indici di dramma“; del resto “non va dimenticato che spesso dietro un giovane che, visti i tempi duri, si rifugia a casa aspettando tempi migliori c’è uno stipendio o una pensione dei genitori garantita dalla tutela senza pari del lavoro dipendente e della previdenza pubblica”. Consolante che ora il governo stia prendendo di mira anche quelli: così i “bamboccioni” saranno costretti a mettere il becco fuori daFacebook, che causa depressione, solitudine e rende tanto cattivi. Oltre a essere tra le “cause” della sifilide, certo.

In conclusione: meglio due milioni di giovani che non cercano lavoro perché non hanno speranza di trovarlo, che due milioni di giovani che lo cercano ma non lo trovano. Chissà se Borghi ha mai sentito parlare di rassegnazione. Io, dopo una simile rassegna stampa, non sento altro.

 

(Blog dell’autore: il Nichilista)