Settimana scandinava: mentre si avvicinano le elezioni è l’economia il filo che unisce i paesi scandinavi nei giorni che conducono all’estate.
[ad]Di economia si parla in Norvegia, dove il primo ministro Stoltenberg sta cercando di trovare un modo per non arrivare già sconfitto alle elezioni del prossimo settembre.
In Finlandia invece il rallentamento della crescita e l’aumento del debito pubblico fanno precipitare la popolarità del governo, così come accade in Danimarca dove nei giorni scorsi il ministro delle Finanze Corydon ha promesso un cambio di rotta.
Rimettere entusiasmo nel motore e battere il tasto dell’economia: le strategie del partito laburista norvegese sono chiare da settimane. I sondaggi preannunciano una sconfitta certa e le elezioni si avvicinano: per i socialdemocratici la sfida elettorale si fa sempre più dura.
“Non dico che vincere le elezioni è facile” ha affermato qualche giorno fa il primo ministro Jens Stoltenberg, “dico che vincerle è possibile”. Un modo per tenere unito un elettorato sfiduciato che si aspetta di uscire sconfitto dalle urne.
La scorsa settimana il premier e la sua sfidante Erna Solberg, leader della Destra, si sono incrociati in uno studio televisivo. Il primo ministro è ricorso ad argomenti già sentiti: un governo conservatore darebbe vita a politiche economiche irresponsabili. Solberg ha risposto attaccando: il governo aveva il compito di ridurre la dipendenza del paese dal settore petrolifero e non l’ha fatto, a questo punto servono ricette nuove.
Il premier però sull’economia non ha intenzione di farsi superare: dopo otto anni di governo può vantare bassa disoccupazione (3,5 per cento ad aprile) e una crescita positiva nonostante le cose in futuro potrebbero peggiorare. Prospettive, queste, che in un certo senso tornano utili ai laburisti. “Ci sono segnali che mostrano come la crisi economica abbia colpito anche la Norvegia” ha affermato Stoltenberg, “c’è una tendenza all’aumento della disoccupazione, minori esportazioni verso l’Europa, minori investimenti nel settore industriale. L’economia norvegese è solida e siamo riusciti ad assicurare uno sviluppo completamente diverso, ma sono comunque preoccupato”. Come a dire: noi siamo stati bravi a tenere saldo il timone durante la tempesta, abbiamo dimostrato di essere all’altezza, siamo sicuri che gli altri saprebbero fare altrettanto?
(Per continuare la lettura cliccate su “2”)
[ad]Un argomento non nuovo, però. Fino a oggi al partito laburista è mancato lo scatto. A essere molto forte nell’opinione della gente è soprattutto Erna Solberg: il partito della Destra è stretto intorno a lei, nello schieramento borghese è ben vista, molti ex elettori laburisti (come mostrato da numerose ricerche nei mesi scorsi) non la vedono come una minaccia.
E lei continua ad andare dritta per la sua strada, ripetendo che i numeri positivi intorno alla sua persona significano che la gente vuole un cambiamento dopo otto anni di governo. In un quadro del genere a poco potrebbero servire le promesse dei laburisti, che hanno annunciato in caso di vittoria elettorale un grande progetto per rilanciare l’edilizia scolastica. Se il governo ha qualche asso nella manica lo tirerà fuori con tutta probabilità ad agosto, dopo la pausa estiva e a un mese dal voto di settembre.
In Finlandia la gente valuta positivamente il lavoro del presidente della Repubblica Sauli Niinistö ma è molto più severa quando si tratta di dare un voto all’esecutivo. Un sondaggio pubblicato dall’Helsingin Sanomat mostra che appena il 22 per cento degli elettori promuove quanto fatto finora dal governo.
In un anno, il 16 per cento dei finlandesi è passato da un giudizio positivo a un giudizio negativo. Le ragioni di questa discesa vanno ricercate nell’economia. Lo stesso governo in questi giorni ha abbassato le previsioni di crescita per il 2014 ipotizzando un +1,2 per cento.
Questo rallentamento è un problema. Il rischio è far saltare uno degli obiettivi dell’esecutivo: frenare la crescita del debito. Le previsioni del governo dicono che il debito pubblico dovrebbe arrivare al 57,1 per cento nel 2013 e salire al 59,2 per cento l’anno prossimo. E se il Pil è inferiore a quello che si sperava, l’unica strada per contenerlo è quella dei tagli alla spesa pubblica. Una strada peraltro già battuta negli ultimi anni.
Oltretutto ci si mette pure la disoccupazione che a maggio è arrivata a quota 10,8 per cento: quasi un punto e mezzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nella fascia d’età 15-24 anni, l’aumento è stato del 4,5 per cento: la disoccupazione giovanile ormai supera il 35 per cento.
La Danimarca vive gli stessi problemi, solo che lì l’opinione della gente nei confronti del governo di centrosinistra è negativa ormai da un anno e mezzo.
In questi giorni il ministro delle Finanze Bjarne Corydon ha ammesso che l’esecutivo ha fatto troppo poco per la produttività, concentrandosi solo sull’offerta di lavoro – settore dove oltretutto i risultati non sono così buoni: rispetto all’inizio della crisi, più o meno 100mila posti di lavoro sono andati perduti e non si riesce a riassorbirli.
Qualcosa però è cambiato, ha voluto aggiungere Corydon: col ‘Pacchetto Crescita’ negoziato ad aprile, il governo ha messo la produttività ai primi posti della propria agenda economica.
Molti analisti non condividono l’entusiasmo del ministro. E in fondo è chiaro a tutti che la Danimarca non può farcela da sola: l’economia del piccolo paese scandinavo è rivolta per lo più all’estero: le esportazioni (soprattutto verso l’Europa) contribuiscono al 50 per cento della ricchezza.
Senza una ripresa generale, anche per Copenhagen sarà difficile uscire dal tunnel.
Antonio Scafati