Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere un ennesimo episodio dell’amplissima storiografia leghista che, avendo un determinato connotato politico, spicca per incomprensione, per tentennamento e per non chiarezza della vicenda.
Pare infatti che il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, già ministro delle politiche agricole, abbia, nel corso dell’inaugurazione di una scuola elementare nel trevigiano, fatto suonare il “Và pensiero” verdiano snobbando del tutto il più ufficiale “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli.
La cosa ha fatto imbestialire gran parte del mondo politico italiano. Soprattutto gli esponenti di quella forza politica che, secondo un mantra leghista degli anni ’80, era bollata come la più grande nemica della causa leghista assieme agli impenetrabili e federalisti seri (quindi anti-leghisti) popolari sudtirolesi: l’ex Movimento Sociale Italiano.
Subito infatti Ignazio La Russa ha bollato come “gravissimo” il gesto di Zaia e ha addirittura proposto una norma che costringa all’esecuzione dell’inno di Mameli, per evitare sorprese future.
Anche l’instancabile titolare del dipartimento di Piazza Nicosia, nonché unico esponente in consiglio dei ministri dell’autorevole sensibilità finiana, Andrea Ronchi ha considerato “inaccettabile” il gesto dell’ex presidente della provincia di Treviso.
Tutto questo mentre all’opposizione non pareva vero di poter condannare le gesta del governatore che, mentre solidarizza con Vendola alle assemblee confindustriali, più si è schierato a favore della scure agli enti locali della manovra correttiva del ministro Tremonti.
Come se non si fosse ancora abituato al nuovo studio veneziano.
Fatto sta’ che la reazione di Zaia agli attacchi provenienti da destra e a manca è stata una di quelle cose “esemplari” che spiega la ragion d’essere di una forza politica anomala come la Lega Nord.
Zaia infatti ricorda il suo compagno di partito sindaco di Adro che, giustificando una torbida vicenda riguardante il comune e la mensa della sua scuola elementare, si difendeva da ogni accusa esclamando: “Sia chiaro: io non sono razzista!”.
Zaia infatti, anziché dichiarare “meglio il Và pensiero” o “non mi comprerei mai il vinile dell’opera di Mameli e del maestro Novaro”, ha fatto una parziale marcia indietro. Tentennando, cercando di salvarsi nel raccontare le dubbie dinamiche degli eventi ed addirittura attribuendo le colpe al suo sodale portavoce Beltotto (che se non fosse per una “l” ricorda col suo cognome un vero mito per tutto il Triveneto). Lo stesso che si beava degli articoli in rima sul “Foglio” dedicati al suo capo.
Luca Zaia infatti sostiene che l’inno nazionale italiano è stato eseguito, ma dopo l’aria verdiana, proprio mentre si era giunti al culminante momento del taglio del nastro d’inaugurazione della scuola. Nonostante tutto molti presenti non ricordano di aver sentito l’inno e del resto la cosa era stata denunciata proprio dalla “Tribuna di Treviso” (che non è la “Pravda”. E nemmeno il “Secolo d’Italia”) prima che gran parte dei media giochicchiassero con la notizia.
A seguito della fase dei tentennamenti, che hanno nel tentativo di spiegare la dinamica degli eventi il loro massimo apogeo, Zaia non ha però rinunciato ad esporre delle sue idee sul concetto stesso di inno nazionale e sulla necessità di eseguirlo nelle pubbliche cerimonie…smentendo gran parte di ciò che aveva detto prima e rafforzando le tesi di chi sosteneva che ci fosse un retroterra ideologico nello snobbare il canto di Mameli!
Così mentre il governatore veneto si diverte a citare gli inni dei Land teutonici la polemica resta intatta. Ed in questa indecisione non possiamo non cogliere quegli aspetti che Michele Serra ben ha evidenziato nella sua “Amaca” del 15 giugno: altro che nettezza padana dalle tinte anti-nazionali. Il buon Zaia si comporta come arci-italiano che nega tutto pur di evitare problemi e grane. Altro che leghista! Un vero “democristiano” (del resto eredita i voti della Balena Bianca, ed anche il profilo ideologico del movimento bossiano non pare discostarsi molto da quello della Dc, secondo Bobo Maroni).
In tutta questa tristezza emergono e superano Zaia solo le dichiarazioni conclusive di La Russa, che sarà pur sempre un ultra-nazionalista, ma deve anche difendere la bottega ed attaccare gli avversari: “Curioso che ad attaccare Zaia e a difendere l’inno sia proprio la sinistra. Quella stessa sinistra che quando ero giovane e cantavamo l’inno ci accusava di essere fascisti”.
E ci si chiede allora quanto La Russa sia “un uomo del secolo scorso”. E soprattutto di quale “sinistra” parli e quale parziale storia stia mai raccontando.
Non me li vedo proprio Letta, Fioroni e Franceschini fare a botte con La Russa mentre fischiano l’inno nazionale.