“Se questa cosa che ho appena detto non avviene sono l’uomo più felice del mondo”. Così esclamava il senatore Morando nello studio di via Teulada di Ballarò in una puntata del programma passata alla storia per la telefonata di Berlusconi (“Un totale ribaltamento della realtà!”) e per il revival populistico del premier-ombra Tremonti (“Se vince il centrosinistra si fa la fila alle banche per prelevare i depositi”).
Il già candidato alla segreteria dei Democratici di Sinistra denunciava, con quella sua frase, un rischio che la sua buona memoria da frequentatore di aule parlamentari aveva messo in conto: se nella manovra correttiva dal 24,9 miliardi di euro (ma già lievitata a 25,9) non compariva nessuna norma a proposito del condono edilizio non bisognava gridare vittoria. Perché probabilmente qualche parlamentare, nella sua piena funzione di “peone”, avrebbe sempre potuto, su consiglio dei piani alti, inserire nel dibattito parlamentare un emendamento istitutivo sui condoni.
Un rischio che se evitato avrebbe reso giustamente Morando “l’uomo più felice del mondo”.
Il senatore piemontese pare simpatico e di buon umore. Ma senza dubbio, in queste ore, non oserebbe definirsi come la persona più contenta sulla faccia della terra: pare infatti che nel dibattito parlamentare tre senatori Pdl abbiano presentato proprio un emendamento dal titolo forse troppo esplicito: “Emendamento condono edilizio”. Più chiaro di così.
Forse i tre baldi senatori hanno preso troppo alla lettera il precetto militare, probabilmente impartito in qualche boriosa scuola-quadri o scuola-veline del Pdl, secondo cui il “miglior nascondiglio è nei pressi della base nemica”. Questo detto non pare adatto infatti all’attività del Senato della Repubblica. Insomma: per dissimulare si poteva trovare un nome meno esplicito.
E così i “tre porcellini” Pichetto Fratin, Tancredi e Latronico (che gli amatori sicuramente ricorderanno nella sua epica campagna elettorale per la presidenza della regione Basilicata nel non troppo lontano 2005) hanno avuto il merito almeno di essere espliciti. Di dire la verità. Di denunciare appunto “la porcata”.
A parziale consolazione di Morando o di qualche altro ammiratore della buona politica e dell’onestà intellettuale è giusto ricordare come la discussione sulla manovra (giustamente prioritaria anche per il Quirinale oltre che per il calendario di Montecitorio e per la contingenza degli eventi riguardanti la vita degli italiani) avrà a che fare con un copioso numero di emendamenti o pseudo tali (2550) perlopiù presentati da esponenti della maggioranza.
Quindi come sul ddl intercettazioni vi è un margine per un sussulto, da parte della società civile e da parte dell’opposizione, per una denuncia politica e per una battaglia d’abbattimento (dell’emendamento, non di qualche casa costruita sul litorale):
Al tempo stesso, mentre la maggioranza si diverte con gli emendamenti, il governo non è stato a guardare. Ed è subito balzata agli occhi la notizia della nomina di Aldo Brancher a ministro.
E sul tema si può discutere. Soprattutto delle cose che non vanno.
In primo luogo ci si chiede come mai Berlusconi ha nominato un nuovo-ministro senza nominare quello del dicastero vacante, realmente importante, dello sviluppo economico. In secondo luogo ci si chiede perché nominare comunque un ministro in più. In terzo luogo ci si chiede a cosa serve il dipartimento attribuito a Brancher e addirittura ci si chiede quale sia la sua reale denominazione (se si tratta di un ministero del “decentramento”, parole del secondo premier-ombra Bossi, il sottoscritto diventa da oggi geloso del nuovo lavoro dell’onorevole Brancher). Infine ci si chiede come mai Brancher. E come mai proprio per un dicastero che appare sempre più come uno stucchevole doppione.
A dire il vero, per essere estremamente indulgenti, la nomina può apparire anche come un campanello d’allarme suonato da Berlusconi ai suoi riguardo alla Lega. Non sfugge infatti la forte freddezza (unita a quella meteorologica) che domenica a Pontida il popolo leghista ha mostrato nei confronti della nomina dell’uomo che storicamente, in casa Pdl, è stato l’anello di congiunzione tra Arcore e via Bellerio.
Al tempo stesso non possiamo non ricordare, unite all’ormai doverose considerazioni sull’immensa e sincera intelligenza politica del Senatùr, che lo stesso Bossi pare essere uno dei più assenti in Consiglio dei Ministri. E se si esclude il cammino del federalismo, su cui lavora molto Calderoli e la commissione bicamerale presieduta da La Loggia, non appare come il ministro più attivo. E sembra molto più concentrato sul suo partito che sull’attività del suo dipartimento.
Quindi la nomina di Brancher appare o inutile, nella peggiore delle ipotesi, o una scomunica nei confronti di Bossi, nella migliore.
In tutto ciò al centro c’è Aldo Brancher. Lo sherpa, l’uomo dei corridoi e dell’antico dialogo tra Forza Italia e Lega già sottosegretario alle riforme nel periodo del vano tentativo di far passare la devolution.
Pare sia stato nominato ministro per evitare grane giudiziarie. Forse è questa l’ipotesi realmente peggiore.