La nomina, 17 giorni or sono, di Aldo Brancher a ministro senza portafoglio è stata una nomina che ha tutelato esclusivamente due persone al mondo: Brancher stesso, che intendeva usufruire del legittimo impedimento, e il sottoscritto che, grazie alla nomina dell’ufficiale di collegamento tra Pdl e Lega, ha potuto scrivere ben due articoli per la “Settimana politica” de “Il Termometro Politico”.
Oggi però il ministro ha annunciato la sua intenzione di dimettersi presso l’aula del tribunale di Milano dove egli è indagato per le torbide vicende legate alla scalata ad Antonveneta.
La notizia già era trapelata in qualche retroscena giornalistico: Brancher infatti ha incontrato Berlusconi nella giornata di domenica e i due pare abbiano deciso per le dimissioni (non è un caso che oggi il Presidente del Consiglio si sia dichiarato “d’accordo” con la decisione del suo ex ministro).
La decisione è stata presa dopo la contestata nomina di Brancher a ministro, dopo la sua intenzione di usufruire del legittimo impedimento (“per organizzare il ministero”) e dopo la nota del Quirinale che ricordava “come non ci sia nessun ministero da organizzare” e la conseguente rinuncia all’impedimento da parte di Brancher stesso.
“L’uomo di Trichiana” ha annunciato presso l’aula milanese, dopo aver anticipato la sua intenzione di dimettersi e dopo aver ribadito che non usufruirà del legittimo impedimento (cosa di per sé scontata una volta formalizzate le dimissioni), ha altresì richiesto il rito abbreviato del processo.
I plenipotenziari del Pdl subito hanno difeso il gesto di Brancher cercando di sottolineare, come ben evidenziava la lettera di Sandro Bondi su “Repubblica” di lunedì, come la politica del fare sia qualcosa di lontano dai palazzi e dai giochini della politica e come le dimissioni di Brancher siano sulla falsariga della politica “del fare“ e della responsabilità messa in atto dal governo Berlusconi (inutile dire che il 90% delle persone che dichiarano queste cose sono in politica da quando avevano 15 anni…).
Formalmente però, se la nomina di Brancher aveva un senso (e non poteva non averla essendo stato nominato per “coadiuvare i ministri Fitto, Calderoli e Bossi”) le sue dimissioni appaiono a tratti come qualcosa di incoerente con la logica berlusconiana: Berlusconi ha nominato un ministro. Questo avrà commesso qualche errore, ma poi comunque ha rinunciato al legittimo impedimento. Perché allora dovrebbe dimettersi?!?
Sia ben chiaro: chi vi scrive è ben felice di avere un ministro inutile in meno nel suo amato paese. Ma nella logica berlusconiana la cosa non può che apparire come una stucchevole o risibile dietro marcia berlusconiana.
E questa volta, per comprendere la ratio di questo truffaldino dietrofront, si passa alla pura tattica politico-parlamentare. E ad un grande risultato che ha raggiunto l’opposizione di centrosinistra.
Come già scritto in precedenza nonostante la situazione d’attrito riscontrata nei rapporti col Quirinale, lo stesso Brancher si era detto disponibile a recarsi al processo.
Ma la rinuncia al legittimo impedimento appariva al Pd in testa come solo “il primo passo”: non bastava l’intenzione di Brancher a farsi processare, in quanto il gesto stesso e l’atto compiuto dal ministro ben testimoniavano come il dicastero a lui attribuitogli fosse inutile.
Da qui l’idea di elaborare e presentare una mozione di sfiducia, a firma Pd e Italia dei Valori, alla Camera dei Deputati. Mozione che si sarebbe dovuta votare nella giornata di giovedì 8 luglio.
Questa iniziativa delle opposizioni rappresentata dalla mozione di sfiducia si è inserita in un solco ben più ampio che vede il centrodestra e il Pdl dilaniato da dissapori e scontri interni.
E’ di qualche giorno fa lo scontro in diretta tra Gianfranco Fini e Sandro Bondi (che giustamente Berlusconi ha considerato grave quasi quanto l’affronto finiano avvenuto in direzione nazionale) sull’etica in politica (si citavano i casi di Cosentino e dello stesso Brancher) e sempre in questi giorni sui giornali e nei dibattiti risulta essere costante l’attacco della componente finiana al disegno di legge sulle intercettazioni. Dissapori, quest’ultimi, che si sono protratti fino alla dichiarazione di Fini a seguito della calendarizzazione del ddl decisa dalla conferenza dei capigruppo per il 29 luglio (“Un puntiglio”) e fino alle audizioni decise dalla presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno nella stessa commissione. Audizioni unanimemente critiche nei confronti del ddl intercettazioni.
La mozione di sfiducia delle opposizione si è inserita in questo scenario politico. Uno scenario che ha portato alcuni osservatori a parlare di “imminente caduta del governo” o di “implosione della maggioranza”.
Si aspettava dunque un atto che formalizzasse questa rottura all’interno del Pdl.
Poteva trattarsi di un atto parlamentare come la mozione di sfiducia su Brancher.
In quel caso probabilmente si sarebbe arrivati ad un vicinissimo e veloce scontro tra le anime del Pdl. E qualcuno sarebbe rimasto irrimediabilmente fuori dalle logiche di partito o di maggioranza.
L’unica soluzione per Berlusconi, per evitare una fine così veloce, era cedere su Brancher. E costringerlo alle dimissioni.
Spesso si critica una presunta “pigrizia” dell’opposizione nei confronti del governo nella battaglia politica e parlamentare.
Ma, avendo illustrato il quadro complessivo, oggi più che mai possiamo affermare che l’opposizione di centrosinistra, e il Partito Democratico in testa, non solo ha raggiunto lo scopo che si era prefissa: ma ha compiuto anche un piccolo capolavoro politico.