Change.org, promuovi la tua petizione

Change.org. Ricordate le parole pronunciate da Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno sul delicato tema del diritto di cittadinanza per i figli nati in Italia da genitori stranieri? E avete idea di come questo tema sia diventato degno di menzione in uno dei più attesi appuntamenti di fine anno? Proviamo a raccontarlo.

[ad]Immaginate che esista una piattaforma on line attraverso la quale chiunque possa lanciare una campagna su un tema di particolare rilevanza sociale. Proprio chiunque, in qualunque parte del mondo. Immaginate che un bel giorno decida di servirsi di questa piattaforma un rapper di origini egiziane di nome Amir Issa. Cittadino italiano, poiché nato da madre italiana, Amir vuole che il Presidente della Repubblica, durante il suo discorso di fine anno, parli di quanti, invece, pur essendo nati in Italia ma avendo entrambi i genitori stranieri, non vengono riconosciuti cittadini italiani. Immaginate, poi, che la petizione raggiunga il numero di firme necessarie e approdi sulla scrivania della Presidenza. Lo avreste mai detto che dietro le battute pronunciate da Napolitano, con la consueta compostezza e l’ormai noto senso delle istituzioni, si nascondesse una storia del genere?

Tutto questo è possibile grazie a Change.org, la più grande piattaforma di petizioni al mondo, lanciata nel 2007 dal californiano Ben Rattray, attuale CEO. Change.org oggi vanta uno staff di circa duecento persone sparse in 18 paesi tra cui l’Italia, dove a luglio si festeggia un anno dall’apertura. Change.org è una “impresa sociale” che unisce i valori di una organizzazione non-profit all’innovazione di una startup tecnologica. La sua missione è quella di rendere gli individui protagonisti del cambiamento, di incoraggiarli a realizzarlo. A livello locale, nazionale o globale. “Che si tratti di una madre che combatte contro il bullismo nella scuola di sua figlia, di clienti che fanno pressione sulle banche per eliminare una tassa ingiusta o di cittadini che denunciano funzionari corrotti”.

Grazie a Change.org è stato possibile realizzare un gran numero di campagne all over the world. Diverse anche in casa nostra. Tra le campagne italiane, quella che ha permesso il ritiro della denuncia di vilipendio alla religione mossa dall’Aiart – l’associazione dei telespettatori cattolici – contro Corrado Guzzanti per l’interpretazione del suo personaggio “Don Pizzarro”. 54.000 firme per dire sì alla satira e no alla censura. Oppure quella che con oltre 130.000 firme ha portato alla sospensione dell’europarlamentare leghista Mario Borghezio dal proprio gruppo per gli insulti razzisti nei confronti del neo ministro dell’integrazione Cecile Kyenge, tacciata di incompetenza e apostrofata “faccia da casalinga”.

280.000 sono state le firme raccolte in tutto il mondo per candidare Malala Yousafzai al Nobel per la Pace. La storia di Malala, ragazzina pakistana di appena quindici anni, fece il giro del mondo dopo che un sicario talebano le sparò un colpo alla testa nel pulmino scolastico su cui viaggiava per la sua battaglia a favore del diritto allo studio in Pakistan. Sempre a Change.org si deve l’intervento dell’Agcom, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per bloccare gli spot televisivi ingannevoli come quelli trasmessi dalle reti Mediaset, che attiravano i telespettatori attraverso quiz a premi e li abbonavano a loro insaputa a servizi a pagamento. 12.000 le firme raccolte in questo caso.

Il lancio di una campagna è completamente gratuito. Perciò viene da domandarsi: come si finanzia Change.org? Change.org si finanzia attraverso petizioni “sponsorizzate” da altre organizzazioni, come Medici Senza Frontiere o Amnesty International, le quali acquistano degli spazi pubblicitari. Il meccanismo è lo stesso dei video sponsorizzati su YouTube, i link su Google e i tweet su Twitter. In pratica, dopo aver firmato una petizione, si può scegliere se firmare anche quella “sponsorizzata”, accettando così di ricevere al proprio indirizzo email ulteriori comunicazioni direttamente dall’ente promotore. Altrimenti basta saltare il passaggio.

Il prezzo del cambiamento sembra più che ragionevole, considerato che con Change.org il cambiamento è nelle mani di tutti.