Il Picconatore non c’è più. Con lui molti misteri d’Italia se ne sono andati e forse non avranno mai una chiara risposta ai fin troppi dubbi legittimi degli ultimi decenni.
Sul tema si potrebbe discutere a lungo, sul personaggio e sulla sua condotta senza dubbio poco trasparante. Ma siccome l’operazione (che reputo dovuta!) verrà fatta in larga parte nei prossimi giorni nei diversi giornali, oggi può apparire interessante concentrarsi maggiormente sulla figura di Cossiga-politico. Nel vero senso della parola.
Allora è giusto partire dal dato storico, a tratti anagrafico che appare a mio parere fondamentale per comprendere nella sua completezza la particolarità del personaggio. Il dato storico riguarda l’elezione dell’Assemblea Costituente avvenuta (assieme al referendum sull’assetto statale e alle elezioni amministrative) il 2 giugno del 1946.
Nel non troppo lontano 2006 uno sveglio settimanale politico ebbe la geniale idea di intervistare sul tema del 2 giugno ’46 i senatori a vita della Repubblica per farsi raccontare aneddoti, racconti, prese di posizioni e inviti al voto dei personaggi e del loro periodo storico.
Il bel paginone del settimanale ben metteva in mostra le posizioni di Andreotti, i ricordi della già non più giovane Rita Levi Montalcini, la passione civica di Scalfaro e i ricordi del meridione d’Italia (e della sua minoritaria componente repubblicana) di Emilio Colombo.
Finché non venne il turno di Cossiga che diligentemente incominciò a narrare i suoi ricordi legati a quel periodo. Fino a quando non arrivò l’inevitabile domanda: “Presidente Cossiga, ma lei il 2 giugno come votò?”.
La domanda appariva scontata e spontanea ma purtroppo la versione cartacea del settimanale non ci può che far immaginare la laconica risposta dell’allora senatore a vita: “Ma signora…nel 1946 non potevo votare…ero minorenne!”.
Effettivamente Cossiga aveva meno di 18 anni quel 2 giugno del ’46 (e si consideri che allora la maggiore età si raggiungeva al compimento dei 21 anni) e questo forse fa ben capire come si stia parlando di una sorta di “enfant prodige” della politica nostrana. Del Presidente della Repubblica più giovane della storia d’Italia.
Il dato politico che si trae da ciò non è scontato per molti. Spesso si ignora, per esempio, che Cossiga ha dieci anni in meno di Oscar Luigi Scalfaro pur essendo stato eletto al Quirinale sette anni prima. Da qui si traggono spunti per una carriera politica fatta di ovvie particolarità.
Cugino di Enrico Berlinguer, definitosi sempre come “un democristiano di sinistra”, “il Picconatore” è sempre stato al centro della scena specialmente nel suo periodo al Viminale quando, dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro avvenuto il 9 maggio del 1978 a via Caetani, annunciò le sue dimissioni dichiarando “Io ho ucciso Aldo Moro”. La sua linea della fermezza (anche se non possiamo avere prove sul successo di una linea politica alternativa) lo lega a quell’evento sui cui ebbe anche non trascurabili ripercussioni per quanto concerne il suo stato di salute.
E allora i ricordi sul personaggio aumentano: il Cossiga con la K protagonista di una linea dura nelle contestazioni nella città di Bologna. Cossiga Capo del Governo. Cossiga l’uomo delle dimissioni, dal partito, dalle istituzioni e dal sindacato. Cossiga che forse ha dannato l’animo di qualche studente di diritto pubblico, incapace di capire perché risulta essere uno dei pochi Capi di Stato a non concludere il suo mandato alla scadenza naturale (stesse grane le riservò “il giurista dei giuristi” Giovanni Leone, ma questa è un’altra storia). E perché no, per chi è nato come me sotto la sua presidenza, il Cossiga senatore a vita ma “interventista” che con la sua Udr non solo dà al governo D’Alema una stampella parlamentare dopo la fuoriuscita rifondarola a sinistra, ma tenta accademicamente di rifondare una forma di penta-partito formato bonsai. Coi vari Mastella dentro il partito e Scognamiglio e Folloni (chi lo ricorda più!) in Consiglio dei Ministri.
Il Cossiga Presidente del Senato eletto a 57 anni al Quirinale e, perché no, il Cossiga che in un epico programma di Milly Carlucci pronunciò l’oramai storica frase: “In un campo da calcio in porta ci metterei D’Alema: è bravo a parare. In difesa? Gianni Letta. Perché risolve in extremis i danni di Berlusconi. A centrocampo vedrei bene Mastella: un po’ di qui e un po’ di là. E in attacco? Bè, signora, se avessi l’età in attacco ci andrei io!”.
E se mi è concesso un tocco personale ad un personaggio politico che senza dubbio non è mai stato e non potrà mai essere un mio esempio positivo, il Cossiga che mi spinse nella mia iniziazione alla politica nel 2003, avevo allora 14 anni, alla a tratti folle scelta di comprare un suo libro chiamato “Per carità di Patria” in cui passava in rassegna tutto lo scibile politico legato alla sua persona. Dagli avvisi a Donat Cattin ai prolissi messaggi a reti unificate in cui ci si scagliava contro quel che ancora restava della “Repubblica dei Partiti” (ah, quando esistevano i partiti!).
Emergeva una certa lucidità. Ma diversa, per esempio, da quella di Andreotti tuttora intatta. Una lucidità politica che risentiva di un certo piano emotivo, di un certo interventismo e a tratti di una certa furia ideologica dal sapore dogmatico.
Sostanzialmente un’intelligenza politica indubbia, ma che forse poteva essere sfruttata meglio al servizio della comunità.