“Caro Vittorio, devi essere contento: oggi Mirabello è diventata la capitale della politica italiana!”. Così ha esordito nel suo intervento il Presidente della Camera Gianfranco Fini rivolgendosi allo storico organizzatore della “Festa del Tricolore” (prima dell’Msi, poi di An, Pdl e ora di Fli) Vittorio Lodi, vistosamente emozionato dall’eco mediatico dell’evento e dalla copiosa presenza di giornalisti (qualcuno anche giunto dall’estero…).
Si attendeva infatti con profondo interesse il discorso di Fini alla festa del suo raggruppamento politico-parlamentare in procinto di diventare partito vero e proprio.
La ultime dichiarazioni di Fini erano state quelle presso l’Hotel Minerva del 30 luglio, il giorno dopo la sua “cacciata” o “uscita” (a seconda dei punti di vista e a seconda della partigianeria ideologica) dal Pdl.
In mezzo: una delle estati più complesse della politica italiana ed uno stillicidio mediatico, da parte de “Il Giornale” e “Libero”, nei confronti di Fini e della sua famiglia in merito alla torbida vicenda della casa di Montecarlo.
Alcuni opinionisti si chiedevano se l’evento di Mirabello potesse porsi come un superamento della Seconda Repubblica, mentre osservatori maggiormente gradualisti sottolineavano come “al massimo” si potesse arrivare ad una netta rottura in seno alla maggioranza e alla nascita di un nuovo raggruppamento politico proiezione dei già esistenti gruppi parlamentari.
Nonostante, a mio avviso, altri eventi campali abbiano contraddistinto l’ormai lunga carriera politica di Fini, lo stesso Presidente della Camera ha espresso in pubblico la sua enorme emozione nel parlare alla platea del 5 settembre. Emozione dovuta ai legami politici e personali col territorio, alla copertura mediatica dell’evento ma anche alle contingenze politiche profondamente critiche.
Effettivamente la giornata si era posta come il “Fini day”. Tutti per lui, ad ascoltarlo. In tutti gli schieramenti.
Ne è uscito un discorso che, dopo i convenevoli, ha brevemente narrato le vicende degli ultimi mesi: vi è stata una cacciata di Fini dal partito che aveva contribuito a fondare. Una metodologia inconcepibile per un partito che si professa “liberale”. Un metodo stalinista forse ereditato “dalle letture di Berlusconi del Libro nero del comunismo” e dai continui viaggi di Berlusconi in quella che un tempo fu definita “Cortina di Ferro”.
Un discorso che ha posto una diversa accezione a dei temi puramente programmatici a partire dalla giustizia, dal rispetto delle istituzioni, e dalle politiche giovanili. Mentre sul Lodo Alfano e sul federalismo si è delineata un’apertura condizionata, seppur forzata nel suo approccio.
Dopo molte stoccatine al suo ex partito e ai punti deboli di questo esecutivo (politica estera critica e mancata nomina del ministro dello sviluppo economico) si è giunti al succo politico della questione: Fli non può rientrare nel Pdl perché il Pdl oramai è “una Forza Italia allargata a qualche ex colonnello, pronto a cambiare ancora una volta generale” e bisogna lanciare un patto di legislatura capace di far cambiare indirizzo politico a questo stagnante governo. Per far questo c’è la disponibilità da parte di Fini di continuare la legislatura fino alla scadenza naturale pur consapevoli della mutata situazione politica che vede i soggetti politici della maggioranza passare da 2 a 3 (anche se permane un mistero il non appoggio sostanziale dell’Mpa accompagnato ad una presenza formale nell’esecutivo!).
Dunque Fini ha giocato, rischiando di deludere qualche osservatore, la seguente carta: il governo va male, Berlusconi è uno stalinista e tutto sta andando a ramengo. Però se vogliamo ridare vigore all’attività di governo (tramite quello che viene definito come nuovo patto di legislatura) Futuro e Libertà continuerà a sostenere l’esecutivo. Di fatto Fini consegna il cerino della potenziale crisi di governo a qualche altro partner della coalizione di centrodestra.
E non è un caso che, contrariato ovviamente dal contenuto del discorso finiano, qualcuno in casa berlusconiana abbia già ipotizzato l’individuazione di un “novello Bruto”, in questo caso la Lega, per parlamentarizzare una crisi di governo (che i finiani, come è oramai chiaro, non intendono iniziare) e favorire un ricorso anticipato alle urne a scapito di un temutissimo, da Berlusconi, governo tecnico.
Tutto questo in una fase critica per il responso che la Corte Costituzionale darà al legittimo impedimento, attuale unico scudo di Berlusconi contro i suoi processi in corso.
Le posizioni dell’opposizione tendono a marcare la differenza tra il gruppo di Fli dal centrosinistra (il discorso di Fini è stato propriamente di destra anche se la terza carica dello stato ha ribadito come Fli non sia un’Alleanza Nazionale formato bonsai).
E ora? E ora è molto importante attendere l’esito del consueto vertice Berlusconi-Bossi del lunedì sera ad Arcore e il responso della riunione dei vertici del Pdl di martedì.
In un periodo non molto favorevole al Pdl in termini di sondaggi un ritorno alle urne subito rischia di indebolire fortemente il premier a scapito del Senatùr e in questo scenario il nuovo centrodestra (senza Fini ovviamente) rischierebbe o di perdere o di avere una maggioranza risicatissima al Senato (con conseguente ridimensionato generalizzato per i gruppi parlamenti del Pdl). In questa seconda ipotesi non sono escluse convergenze in grado di produrre un governo tecnico. Magari a guida Tremonti.
Il dato positivo per il Cavaliere è che con un ritorno immediato alla urne la neo-formazione finiana (di fatto già nata anche come partito non intendendo rientrare nel Pdl) non avrebbe ancora una solida organizzazione territoriale nonostante il lavoro preparatorio già compiuto da Generazione Italia, struttura guidata da Italo Bocchino.
Un voto a marzo, o in primavera, invece consentirebbe a Fini di prepararsi meglio e a Berlusconi di giocarsi mediaticamente la campagna elettorale con più chance di rimonta.