Due governi in difficoltà e un altro che pare avviato a perdere le prossime elezioni. In Scandinavia praticamente tutti gli esecutivi in carica navigano in acque agitate.
[ad]In Svezia e in Finlandia i partiti di opposizione sono avanti nei sondaggi. Stesso discorso in Norvegia dove al voto mancano appena due mesi.
Si chiama festival di Almedalen ed è una tradizionale kermesse politica che si tiene ogni estate a Visby, sull’isola di Gotland, in Svezia. Seminari, comizi, dibattiti, conferenze stampa: a turno tutti i principali partiti politici svedesi si presentano sul palco.
Il governo di centrodestra del premier Fredrik Reinfeldt arriva all’appuntamento con un bel po’ di grattacapi: da qualche settimana l’esecutivo paga nei sondaggi una decina di punti di ritardo rispetto al centrosinistra, il leader del partito laburista Stefan Löfven piace di più di Reinfeldt (soprattutto alle donne e ai giovani) e il 48,9 per cento degli svedesi crede che il paese stia andando nella direzione sbagliata.
Se fino a pochi mesi fa molti elettori sembravano convinti che gli affanni dell’economia fossero dovuti soprattutto al quadro generale, ora in tanti cominciano a pensare che sia anche colpa di scelte sbagliate. Kent Persson, segretario del Partito dei Moderati, ha dichiarato: “Abbiamo molto lavoro da fare, non siamo soddisfatti di questi numeri. Parleremo di più di ciò che vogliamo fare per il futuro della Svezia”.
A Visby, il primo ministro ha rivendicato quanto di buono fatto finora, ha negato di essere stanco dopo sette anni d’incarico, ha annunciato tagli fiscali e incentivi per favorire l’occupazione, soprattutto dei giovani. Un argomento, quest’ultimo, su cui ha battuto e molto. Il fatto è che sono parole che assomigliano molto a quelle sentite nei mesi scorsi. Nel frattempo il tempo passa e i problemi restano.
Eppure non è il governo ad essersi preso titoli e prime pagine nei giorni scorsi: è toccato ai Democratici Svedesi, partito di destra fuori dall’alleanza moderata. Secondo il quotidiano Aftonbladet, il deputato Kent Ekeroth avrebbe giocato un ruolo chiave in un sito di estrema destra. Un duro colpo per la credibilità di Jimmie Åkesson, leader dei Democratici Svedesi, che qualche mese fa aveva annunciato in pompa magna la ‘tolleranza zero’ per qualunque tipo di atteggiamento razzista o xenofobo.
Sull’Aftonbladet il commento dell’analista politica Lena Mellin è sembrato una bocciatura senza appello: “In nessun altro partito verrebbe tollerato un proprio membro attivo su un sito razzista: i Democratici Svedesi sono codardi, le regole che Åkesson ha annunciato mesi fa sono una truffa”. Che siano una truffa oppure no, resta una certezza: gli ultimi tempi sono stati molto complicati per un partito che sta cercando di togliersi di dosso l’etichetta di estremista. Anche le scelte fatte dai vertici non sono piaciute a tutti: dal 2010 a oggi, un politico su sei a livello locale ha abbandonato il partito, restano al suo posto nei consigli comunali ma figurando come indipendente.
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Anche dall’altra parte del mar Baltico, in Finlandia, è l’opposizione a guadagnare punti. Sono sempre di più quelli che dicono di essere pronti votare il Partito di Centro (al 21,5 per cento) o i Veri Finlandesi (al 18,6 per cento), gli unici due partiti fuori dal governo multicolore del premier Katainen.
Colpa dell’economia che non gira, vero, ma forse questi numeri vanno spiegati pure con la natura stessa di un governo di “larghe intese” che è stato il risultato di un’elezione dagli esiti molto complicati. L’attuale esecutivo è guidato dal Partito di Coalizione Nazionale e dai Laburisti: uno di centro-destra e uno di centro-sinistra. Dietro di loro altri quattro partiti altrettanto diversi. Se è vero che in Finlandia storicamente prevalgono le coalizioni, è ancor più vero che stavolta la squadra di governo è piuttosto eterogenea.
A gongolare è soprattutto Timo Soini, leader dei Veri Finlandesi che col sorprendente risultato ottenuto alle elezioni di due anni fa costrinse il premier Katainen a un complicato gioco di incastri pur di tenere fuori dal governo proprio lo stesso Soini. Nei giorni scorsi il leader dei Veri Finlandesi ha annunciato che l’anno prossimo non correrà per le elezioni al Parlamento europeo: “Avrei potuto farlo, mi sarebbe stato permesso di farlo” ha detto, “ma preferisco restare in Finlandia, voglio diventare primo ministro”. Difficile che ci riesca al prossimo giro, più probabile che di fronte a un altro buon risultato elettorale il suo partito ottenga un posto nel futuro governo. In fondo è questo il vero obiettivo di Soini.
In Norvegia il clima è più tranquillo ma è una sorta di quiete prima della tempesta. A inizio agosto, infatti, la campagna elettorale entrerà nella sua fase più calda in vista del voto del 9 settembre.
Si va alla pausa estiva con i partiti di centrodestra che bisticciano tra di loro. Il partito Liberale ha attaccato il Partito del Progresso che un paio di mesi fa aveva detto no a un governo formato da Destra, Partito del Progresso, Liberali e Cristiano Democratici: troppi, meglio dar vita a un esecutivo che tenga dentro i primi due lasciando fuori i piccoli partiti.
Una strategia che non piace per niente ai Liberali, convinti che si tratti di una pessima mossa che riconsegnerebbe la Norvegia alla coalizione di centrosinistra guidata dai laburisti, oggi molto indietro nei sondaggi. A due mesi dal voto, gli equilibri all’interno del centrodestra sono ancora tutti da definire. E chissà che questo non finisca per favorire il centrosinistra.