Il Paese con lo sguardo nel passato
Declassata l’ Italia: il commento alla decisione di Standard & Poor’s
[ad]Leggere le motivazioni che hanno spinto ieri Standard & Poor’s a declassarci per l’ennesima volta è un’esperienza allucinante, surreale. Non sorprendente, perché non ci racconta delle novità. Sconvolgente semmai, perché leggere come alcune assurdità che questo Paese si trascina dietro da decenni ci stiano lentamente uccidendo ha il sapore amaro dell’ovvietà. E quando problemi ben noti ci condannano ovviamente ad un futuro di costante e inesorabile degrado c’è da rimanere sconvolti.
Le motivazioni a commento del nuovo declassamento delle nostre finanze pubbliche riguardano, tra le altre cose, il fatto che “la composizione del bilancio è un deterrente alla crescita: le tasse sugli investimenti e sul lavoro sono più alte di quelle sulla proprietà immobiliare e sui consumi”. Il nostro sistema fiscale, cioè, disincentiva l’investimento di denaro in attività produttive, nel fare impresa: la pressione fiscale effettiva sulle imprese si attesta intorno al 70%, mentre quella sul lavoro sfiora il 50%. Molto più conveniente, è ovvio, investire in titoli di Stato (tassati al 12,5%) o nel buon vecchio mattone, su cui oggi grava un’imposta (l’IMU) che è la metà di quella applicata mediamente sugli immobili nei paesi OCSE. E che da domani potrebbe essere del tutto esente.
Questa situazione, chiaramente, favorisce un utilizzo del denaro che non stimola la crescita. Favorisce la rendita, la gestione di patrimoni. Il rischio del fare impresa è tutt’altro che attenuato dallo Stato. Aggiungiamo poi le difficoltà nell’accesso al credito, soprattutto per i giovani, i livelli infimi di investimento nell’istruzione, nella ricerca o nelle infrastrutture tradizionali e tecnologiche, le politiche, le incrostazioni e anche i gesti simbolici che spingono i giovani talenti a emigrare e il quadro è completo: un paese che non investe sul suo futuro, che non permette e non incentiva la “messa in gioco” delle sue energie più giovani e brillanti, a tutti i livelli, non può che essere destinato a una lenta e ineluttabile decadenza.
La banale ovvietà di queste considerazioni è alla base dell’ultimo rating di S&P. Hanno un bel da fare Letta e i suoi ministri a sminuire, distinguere, precisare. Questo paese è immobile da decenni e i treni per il progresso li ha persi tutti. Il punto è: perché?
Il ventennio berlusconiano ci lascia anche questo. La comunicazione politica di Silvio Berlusconi non contemplava (e non contempla) l’immagine del degrado e della crisi. Le copertine patinate con cui ha avvolto il Paese negli ultimi vent’anni parlavano di un sogno, di un successo, di un farsi-da-sé accessibile a tutti. Almeno in teoria. Crisi e decadenza erano elementi non compatibili con la ricostruzione berlusconiana della realtà. Sono stati rimossi. E rimarranno fuori dall’orizzonte anche quando Berlusconi uscirà di scena.
D’altronde, crisi e decadenza riguardano il futuro. Un futuro sempre più prossimo, ma pur sempre un futuro. La narrazione berlusconiana si avvitava invece in un eterno presente, e veniva rivolta a quella parte di italiani che era ben radicata nel passato. L’elettorato berlusconiano è sempre stato composto principalmente da ultrasessantenni, donne e persone senza o con bassissimo livello di istruzione. Cioè le persone più intrinsecamente conservatrici e lontane dalla modernità. Dall’informazione, da Internet, dalle complesse analisi sulla politica, sull’economia e dagli outlook di Standard & Poor’s.
Ma il discorso non si esaurisce qui. Al di là del suo elettorato (da cui Berlusconi ha una fedeltà cieca e assoluta), l’impostazione politica berlusconiana ha riguardato tutto il Paese in questi venti anni. La capacità di Berlusconi di dettare i temi dell’agenda politica è formidabile. Lo ha fatto per vent’anni plasmando la cultura politica italiana, costringendo gli avversari a inseguirlo e tutto il dibattito a incentrarsi sui temi a lui congeniali. E questo sopravvivrà alla sua presenza in politica. Il berlusconismo sopravvivrà a Berlusconi.
L’ultima prova ce l’ha data in campagna elettorale con la surreale questione del rimborso dell’IMU. Contro ogni logica e contro ogni razionalità. Ma un invito a nozze per l’elettore italiano. Probabilmente suggerita da consulenti elettorali, sulla base di indagini demoscopiche e focus group, la favola dell’IMU è rimasta il tema principale della campagna elettorale e ancora oggi tiene banco sulla sopravvivenza del governo.
A chi interessa l’IMU? Non conosco un italiano sotto i quarant’anni che sia stato in grado di comprarsi una casa (un appartamento!) senza l’aiuto dei genitori. Questo dovrebbe essere, semmai, il problema. L’IMU è un problema che riguarda principalmente gli anziani benestanti (ai ceti popolari l’aveva già tolta il governo Prodi), probabilmente gli stessi che hanno figli disoccupati o costretti ad andare all’estero per far fruttare i loro studi e le loro energie.
Il dibattito sull’IMU (e, per estensione, tutto il dibattito politico italiano) sembra un po’ una di quelle chiacchierate che i vecchietti fanno nelle piazze dei paesi, dalle mie parti. E Berlusconi, tra quei vecchietti, è sempre il più simpatico.
Andrea Scavo