Luci e ombre delle proposte di Maria Chiara Carrozza sull’università

Pubblicato il 11 Luglio 2013 alle 09:28 Autore: Andrea Mariuzzo

Infine un punto dolente caratteristico, per il partito che storicamente assomma i riferimenti politici “storici” delle corporazioni universitarie più fameliche, è quello della gestione del reclutamento. Al di là delle buone intenzioni, alcuni nodi che già i pasticci gelminiani non avevano risolto sembrano ancora accuratamente evitati. Il (sicuramente benefico) incentivo alla mobilità tra sedi, elemento necessario per dare sostanza all’autonomia gestionale degli atenei e per dare spazio a strategie di miglioramento della propria offerta di servizi da parte di tutte le università, sembra pensato esclusivamente attraverso l’imposizione di obblighi e proibizioni, col classico tentativo all’italiana di scimmiottare per decreto le pratiche di carriera e di selezione del personale che nel resto del mondo avvengono semplicemente perché così vanno le cose in un sistema aperto. I tecnicismi su ruoli e fasce per gli strutturati non pongono neppure il problema delle migliaia di ricercatori le cui chiassose richieste di aumento di stipendio e di considerazione sociale stanno bellamente chiudendo la strada a quei precari a cui, a parole, si vogliono aprire le porte. Le garanzie occupazionali degli assunti continuano (vista l’assenza di soluzioni al problema) ad essere del tutto sganciate dalla qualità e dall’utilità del loro servizio, nonostante la volontà di procedere a un ulteriore miglioramento delle procedure di valutazione delle sedi, che dovrebbe avere come prerequisito la possibilità che le sedi valutate si liberino dei pesi morti della cui presenza a libro paga non sono responsabili. Del resto, un serio sistema di valutazione ex post per orientare l’assegnazione dei fondi governativi dovrebbe essere accompagnato da una maggiore libertà d’azione dei dipartimenti nel comporre il proprio corpo docente e ricercatore, eventualmente pagandone le conseguenze con chiusure di rubinetto e successivi commissariamenti nei casi estremi. E invece si insiste sui “bandi nazionali” per ogni tipo di selezione, che non sono solo un ingenuo retaggio dell’idea che all’università si assume male perché i “baroni” sono cattivi e che quindi rendendo ancor più arzigogolato, lungo ed elefantiaco il procedimento di assunzione le cose miglioreranno perché i “baroni” non ci capiranno più niente.

[ad]Su questo tema, inoltre, l’esigenza dominante sembra quella di non toccare i ruoli acquisiti e l tutele sullo status degli assunti, sui quali evidentemente i sindacati sono pronti a ringhiare. La conseguenza nemmeno troppo difficilmente prevedibile di questo atteggiamento è che, non diversamente dal 2010, tutte le strettoie finanziarie e valutative del processo di adeguamento degli atenei finiranno per gravare sulle spalle di chi deve ancora essere assunto. L’uscita da questa strettoia, su un tema che per tutta l’impalcatura accademica italiana è assolutamente essenziale, rappresenterà la vera necessità ineludibile, e quindi il vero banco di prova del lavoro del ministero.

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L'autore: Andrea Mariuzzo

Piemontese per nascita e per inclinazione spirituale, ricercatore (precario) alla Scuola Normale di Pisa dopo esperienze in Francia, Inghilterra e USA, attualmente si occupa di storia delle istituzioni universitarie. Gestisce il blog "A mente fredda" su "Il Calibro".
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