C’è qualcosa da festeggiare?
Un anno fa, il 25 ottobre del 2009, le primarie del Partito Democratico eleggevano Pierluigi Bersani segretario nazionale. Bersani sfidava il segretario uscente Franceschini e il senatore-chirurgo Marino e vinceva con una vittoria netta sancita da una maggioranza assoluta in grado di fornire al Pd una leadership politica chiara e netta.
Il giorno dopo Bersani scelse Prato come sua prima uscita pubblica e il 7 novembre subentrò ufficialmente alla carica di segretario a seguito della prima assemblea nazionale del Partito.
Dopo un anno dunque è tempo di bilanci e riteniamo i tempi maturi per una spassionata analisi di questi dodici mesi che senz’altro hanno cambiato la storia del centrosinistra italiano.
Uno dei temi che maggiormente aveva contraddistinto Bersani nella sua campagna congressuale era il tema delle alleanze: critico nei confronti della “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria (e sperimentata alle elezioni politiche del 2008) il neo-segretario la sera stessa della sua elezione parlò di un nuovo cantiere del centrosinistra da riaprire. Nei giorni successivi avviò dei colloqui diretti coi leader delle forze politiche di centrosinistra parlamentari ed extraparlamentari.
Bersani ha sempre risposto, a chi gli ricordava il fallimento del governo dell’Unione, che non era sua intenzione dare vita ad un’ accozzaglia anti-berlusconiana (almeno in tempi normali e non riguardanti futuribili governi tecnici per “l’emergenza democratica”) ne tantomeno continuare con la vecchia vocazione maggioritaria. Quella vocazione che qualcuno nel suo entourage, forse ponendosi in maniera troppo elettoralistica sul tema, aveva confuso benignamente o malignamente con un’utopistica autosufficienza di cui non c’è mai stato riscontro nella storia d’Italia.
Non si intende criticare la politica di Bersani in merito alle alleanze di governo, in questa sede. Ma la “settimana politica” si è molto spesso anche occupata del cosiddetto “perimetro di un futuro centrosinistra” (marzo 2010) mentre chiarimenti netti, ma non chiari, da parte di Bersani sono giunti solo con la lettera a “Repubblica” in cui si faceva riferimento ai due cerchi concentrici (Nuovo Ulivo per il governo, Alleanza Democratica per l’emergenza).
La definizione del propositi bersaniani dunque è stata abbastanza “sofferta” se non tardiva e tra l’altro non ha ancora ben definito i vari nodi che restano al pettine.
Pare infatti che il Pd intenda stringere un’alleanza con Idv e Vendola per poi dialogare con l’Udc, per vedere se ci sono le condizioni per una vera e propria alleanza di governo. Ma il “pare” è d’obbligo e per quanto questa “issue” fosse uno dei punti di forza del candidato Bersani ancora oggi non vi è assoluta chiarezza sul tema ne tantomeno l’abbozzo di un risvolto pratico. Insomma: se si votasse domani non solo probabilmente ci sarebbe qualche problema per il centrosinistra in termini elettorali…ma apparirebbe difficile anche organizzare qualche piccola manifestazione!
A ciò si accompagna la vicenda del probabile ridimensionamento elettorale del partito: su questo nessun leader, di nessuna “sensibilità” (non diciamo parolacce come “correnti”), si è mai espresso relegando solo a qualche militante di buona volontà frasi del tipo “prendiamo di meno, ma in coalizione siamo di più” che comunque volente o nolente è una frase che ,per quanto pericolosa, dimostra una rispettabile onestà intellettuale.
Ribadisco che in questa sede non si vuole fare una sterile critica a cosa sta facendo Bersani, ma si denuncia il non sviluppo di un’azione politica che si intendeva perseguire con forza.
Un altro tema cardine del nuovo segretario del Pd era un potenziamento della struttura-partito evitando eccessi leaderistici e riconoscendosi pienamente in un’accezione di organizzazione partitica pienamente europea e in linea con la storia e con la tradizione italiana. E’ un tema che molti commentatori possono analizzare, molti professori studiare…ma difficilmente possono arrivare a conclusioni più chiare e esaustive di qualche vecchio militante di base del partito!
Il tema del potenziamento della struttura organizzativa di un partito passa necessariamente sul tema del proprio radicamento territoriale: da questo punto di vista il centrosinistra senz’altro ha perso una sua forma di egemonia (ereditata dal Pci e da parte della Dc) a scapito di forze come la Lega Nord che fanno del rapporto con gli elettori sul territorio un proprio punto di forza (soprattutto nei confronti del Pdl!). A maggior ragione questo passaggio è una tappa forzata per una forza politica che non può competere, in termini di esposizioni mediatica, con il suo principale avversario. Lo stesso avversario che accorgendosi proprio di questa “utilità insufficiente” del mezzo televisivo già prepara, sulla falsariga della Lega, dei team pronti a contenere squadre di una ventina di persone per ogni sezione elettorale.
Tecnicamente uno dei modi per potenziare la presenza del Pd sul territorio è quello di aumentare il capitolo di spesa riguardante le federazioni territoriali che, di conseguenza, dovrebbero (si spera) fornire maggiori risorse economiche alle singole sezioni (ops! Circoli). Ma il tutto deve essere accompagnato da un’immagine positiva, nel suo complesso, del partito, altrimenti i militanti non possono avere una capacità espansiva. Insomma: non ci possono essere nuove tessere.
Porta a porta (non quello di Vespa) e tessere, appunto.
Hanno fatto discutere le critiche di qualche commentatore secondo cui il porta a porta annunciato dal Pd in estate non è stato ancora avviato. Una critica magari sbagliata, ma senz’altro legittima, perché nella politica moderna conta anche ciò che appare e ciò che traspare.
Da questo punto di vista però la risposta da Sant’Andrea delle Fratte non è stata netta, non ha fissato scadenze. E ciò spesso è letale nella politica moderna.
E le tessere? Un partito radicato e forte dal punto di vista organizzativo passa pure per un tesseramento trasparente e forte. Aspettiamo i dati sul tesseramento del 2010 per meglio comprendere lo stato attuale del Partito Democratico.
Ma un altro punto legato ad un partito forte sul territorio come vorrebbe Bersani è quello delle proprie strutture regionali: il Pd come è noto è un partito federale che fa eleggere agli elettori e ai simpatizzanti anche i segretari delle regioni.
Ebbene oggi come oggi due regioni sono state commissariate (Lazio e Calabria). Una situazione non molto dissimile da quella che si è verificata tra il 2008 e il 2009, che aveva visto il commissariamento del Pd in Abruzzo e in Sardegna.
Ci sta poco da fare: si può bramare e desiderare più di ogni altra cosa al mondo la vittoria di un’elezione. Ma quando per perseguire questo scopo spesso in certe aree territoriali ci si affida ai vari Loiero e Bassolino di turno (per quanto i compagni di viaggio non si scelgano) spesso degli scotti li paghi: percentuali bulgare in Campania, ma problemi poi.
Come può apparire un problema quello dei tre record che qualcuno paventa nel mondo dell’informazione: record nel numero dei voti reali, nel numero dei voti percentuali e nel numero degli iscritti. Record che, e ciò è sottointeso, sono da intendersi tutti come record negativi.
Come giustamente ha ricordato Bersani nel dibattito alla Camera del 29 settembre il governo deve imparare a capire che non può essere sempre colpa degli altri. “Quanto tempo deve passare per fare in modo che la colpa sia vostra?”.
Oggi è passato un anno. E oramai anche per Bersani le responsabilità sono piene e delineate. Ed è una bella cosa. Ci si sente maturi.
In questa situazione in cui si è pienamente artefici del proprio destino ci si può porre la domanda se “c’è qualcosa da festeggiare”. Anche se non avrei mai voluto dire una frase del genere. Perché avrei voluto trovare da solo gli elementi di trasparenza e chiarezza politica che ci consentono di esprimere un parere nei confronti di una linea politica.
E’ la trasparenza che genere l’oggettività. Ed è quello che serve per tornare a vincere, per apparire come alternativa credibile e per preparare “giorni migliori per l’Italia”.