Forse i tempi sono maturi per una una mozione di sfiducia a Silvio Berlusconi. Dopotutto, non c’è solo una opposizione che, per una volta, ha una parola sola, da Rutelli a Di Pietro passando per Veltroni e Bersani: dimissioni. C’è anche l’apertura di un Gianfranco Fini abile, al solito, a odorare il clima politico e comportarsi di conseguenza. E così, dopo un iniziale «no comment», non appena fiutata l’aria di cadavere ci si è scagliato contro: se fosse vera la storia della telefonata in Questura, con bugie annesse e connesse su cui è sempre meno lecito dubitare, Berlusconi dovrebbe lasciare.
Il tutto mentre il leader di Confindustria Emma Marcegaglia sostiene che sia «necessario ritrovare il senso delle istituzioni e il senso della dignità, altrimenti non si va avanti». I sindacati, pur divisi, riempiono le piazze. I cattolici, tra una bestemmia “da contestualizzare” e un “bunga bunga”, danno a Berlusconi dell’uomo malato o tacciono controvoglia. E la stampa estera ci deride, arrivando alle ricostruzioni in 3D dello scandalo Ruby. Per non parlare, rimanendo all’interno di ciò che resta della maggioranza, del Pdl che continua a perdere pezzi e della Lega che ha sempre più potere contrattuale esempre meno pazienza.
Le premesse, insomma, ci sono tutte. Anche perché i berluscones sono oramai ridotti a una linea difensiva caricaturale. Come quando Daniela Santanchè, intervistata dal Mattino, pur di giustificare le abitudini sessuali del premier raccoglie tutti i maschi italiani nello stesso, insopportabile, fascio. «Il presidente del Consiglio è quel che è e rappresenta quel che sono gli uomini in generale», argomenta il sottosegretario al Welfare, «è evidente che gli uomini italiani hanno quell’atteggiamento verso le donne». O quando Vittorio Sgarbi paragona Berlusconi a due dei personaggi di Amici Miei: «Non è lui» a telefonare in Questura e spacciare una minorenne senza documenti accusata di furto per la nipote di Hosni Mubarak, ma «Adolfo Celi, il medico di “Amici Miei” che dalla clinica fa al telefono uno dei suoi micidiali scherzi». Non solo, è «anche Ugo Tognazzi». Cioè il conte Mascetti, quello che pur di frequentare una liceale bisessuale lascia morire di fame e freddo la famiglia.
«Così fan tutti«, «zingarate». Oppure negare furiosamente tutto, parlare d’altro. Queste le strategie adoperate. «La sinistra torna a guardare dal buco della serratura», accusa Maurizio Lupi. Come se la porta della Questura di Milano fosse quella di un bordello o di una residenza privata. E’ una «caccia all’uomo» contro Berlusconi, rincara Daniele Capezzone, neanche fosse stato il «network politico-editoriale» dell’odio ad “armare” la mano del presidente del Consiglio che ha alzato la cornetta e composto il numero della Questura.
E mentre la politica si esercita in questi equilibrismi verbali, se anche Berlusconi dovesse uscire illeso dall’ultima bufera l’agenda del governo rischierebbe un ulteriore stop al prossimo passo: quella riforma della giustizia che ai finiani proprio non piace e che al presidente del Consiglio serve per sfuggire, ancora una volta, da se stesso. Si può continuare a questo modo fino al 2013? Non credo.
Tuttavia resta da valutare l’alternativa. Elezioni anticipate? Non le vuole nessuno, tra chi voterebbe la sfiducia. Berlusconi e la Lega, che invece le vogliono, metterebbero in piedi una tremenda campagna mediatica sul tradimento della “volontà popolare” nel caso non fossero automaticamente concesse, ma avrebbero ancora contro di loro la Costituzione e il presidente della Repubblica. Quindi non è detto che l’ipotesi di un governo tecnico sia la più realistica. Ma non per questo la più auspicabile.
Perché, lo scrive giustamente oggi Il Post, «Poche cose sono deprimenti e demotivanti come la prospettiva di un “governo tecnico”: la serata televisiva del sabato, forse, o il brodino dell’ospedale. Ma bisogna farsene una ragione: in ospedale a volte ci si finisce». Il problema è che a volte non se ne esce, perché il medico diagnostica una malattia errata e, di conseguenza, si sbaglia la cura.
Molti credono che il male del Paese abbia un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. E che per risolvere i problemi, tutti o quasi, basti liberarsi di lui e il prima possibile. Visto che in caso di elezioni il Cavaliere uscirebbe probabilmente vittorioso per l’ennesima volta, le opposizioni (di destra e di sinistra) cercano di prendere tempo con un governo tecnico. Che dovrebbe cambiare le regole del gioco, e riportarlo sui binari di una democrazia matura prima che il treno deragli verso un sistema autoritario.
Bene, se lo farà. Tuttavia io credo che la malattia italiana sia una classe politica incapace di guardare oltre il proprio naso, interessata soltanto al bene proprio nell’immediato quando invece dovrebbe fare l’interesse collettivo di medio-lungo termine.Basterà detronizzare il “Caimano” per cambiare le abitudini ingorde ed egoiste di chi ci governa? Ne dubito fortemente. E’ un primo passo, certo, ma non bisogna scambiarlo per l’obiettivo. Altrimenti al prossimo malore moriremo di sorpresa. Proprio come nel 1994.