Renzi che incontra la Merkel. E quel dibattito provinciale
Ha fatto discutere, come qualsiasi cosa fatta da Renzi, l’incontro del sindaco fiorentino con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Un incontro non sbandierato e a quanto pare voluto dallo stesso capo del governo tedesco a seguito di un’intervista di Renzi ad un noto quotidiano.
La notizia ha aperto un dibattito per due ordini di fattori.
In primo luogo si è discusso di questo incontro in quanto potenziale smacco subito dal Presidente del Consiglio Enrico Letta. Scavalcato, sul fronte internazionale, da quello che rischia di essere uno dei suoi principali competitor in casa democratica.
In secondo luogo si è criticata l’opportunità politica di questo incontro. E da questo punto di vista gli strali più veementi sono arrivati, come al solito, dal Partito Democratico.
[ad]Per quanto riguarda il primo aspetto c’è da dire che Matteo Renzi è stato invitato a Berlino dalla stessa Merkel per un incontro di carattere privato. Inizialmente Renzi, una volta che la stampa ha appreso di questo meeting, ha subito precisato che Letta era al corrente dell’incontro e che non è sono escluse altre tappe internazionali per il sindaco di Firenze. In realtà il fronte lettiano ha successivamente smentito questa ricostruzione affermando che era stata la stessa Merkel il 27 giugno a Berlino, nell’ambito del vertice europeo sulla disoccupazione giovanile, a chiedere a Letta se fosse un problema per lui l’incontro con Renzi.
Il tema però è ovviamente legato ad una ragione d’equilibrio legato ai rapporti di forza nel Pd e ai rapporti che Renzi e Letta intendono instaurare tra loro. Già nel corso di un incontro a Palazzo Vecchio sembrava essersi trovato un modus operandi tra i due per non compromettere il lavoro e l’esistenza stessa di questo anomalo governo di servizio. A quanto pare però c’è bisogno di un aggiornamento e di una nuova visione in merito alle relazioni politiche tra i due. Altrimenti il delicato sistema d’equilibrio che regge l’attuale esecutivo rischia di saltare.
Il secondo fronte infatti manifesta il dibattito a tratti provinciale presente in certi ambienti democratici. Dibattito provinciale di cui si era avuto un’anticipazione nel corso delle elezioni presidenziali francesi del 2012 dove il “mite” Hollande (vincitore di quella competizione) veniva elogiato in quanto una sorta di Bersani transalpino. Poco avvezzo alle moderne discipline comunicative ma capace di essere un’emanazione francese della “serietà al governo” di cui si sarebbe fatto portavoce Bersani a Palazzo Chigi. Dibattito provinciale che si basava sulla manichea e folle distinzione secondo cui la Royal, candidata nel 2007, era troppo appariscente e comunicativa (un Veltroni in gonnella?) mentre Hollande aveva vinto perché era una sorta di Bersani. Analisi provinciale sia per l’uso improprio della comparazione sia perché non in grado di tener conto di tutte le variabili del campo (in primis l’alto livello di impopolarità dell’ex presidente Sarkozy).
Questo provincialismo “diplomatico” a quanto pare sembra ancora una volta aver colpito il Pd. E dunque fa bene Stefano Fassina (che proprio per questo da ora chiameremo “Stefano l’Americano”) che come c’è un presidente alla volta c’è anche un capo della governo alla volta. Ma è anche vero che da sempre nelle cancellerie occidentali c’è la tendenza ad incontrare personalità politiche di rilievo dei principali paesi alleati. Persone che molto spesso nemmeno hanno un incarico ufficiale ma che, in quanto considerati molto “lanciati” nel proprio sistema politico, è importante incominciare a conoscere. In quanto potenziali interlocutori del futuro.
Ok, era Presidente della Camera dei Deputati. Ma c’è stata una stagione, nemmeno troppo lontana, in cui Obama incontrava Fini e Joe Biden ci teneva a passare almeno 45 minuti assieme all’ipotetico futuro leader del centrodestra nostrano. Non si capisce perché la Merkel non possa incontrare Renzi.