Ocse, in Italia in 53% dei giovani ha un lavoro precario. Stipendi tra i più bassi d’Europa
È sempre più emergenza lavoro in Italia. Secondo l’employment outlook dell’Ocse, aggiornato a dicembre 2012, il 52,9% dei lavoratori under 25 vive una condizione lavorativa instabile caratterizzata da un contratto a tempo determinato. Una percentuale complessivamente elevatissima, più alta tra le donne (37,5%) che tra gli uomini (33,7%), e che, in dodici anni, ha visto un’impennata del 50%: nel 2000, infatti, il numero dei lavoratori precari under 25 era intorno al 26%.
[ad]Il lavoro, dunque, è la piaga italiana (ma non solo) di questi anni di crisi, messa nero su bianco dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nel suo rapporto sull’occupazione, che passa in rassegna la situazione del lavoro nei paesi industrializzati, dipingendo un quadro niente affatto roseo: complessivamente, infatti, i disoccupati nei paesi Ocse sono oltre 48 milioni, di cui ben 16 milioni sono il frutto di 5 anni di crisi.
A voler leggere dentro questi dati, emerge la situazione critica in cui versa il nostro paese: nell’ultimo anno la disoccupazione è cresciuta a un ritmo più elevato rispetto all’insieme dell’Unione europea, arrivando a toccare il 12,2% quest’anno e, con ogni probabilità, il 12,6% a fine 2014.
Drammatici i numeri relativi ai cosiddetti “neet”, ovvero quei giovani nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni che non studiano nè lavorano, balzati al 21, 6%; peggio di noi solo Grecia e Turchia.
Ma se i disoccupati piangono, gli occupati non ridono. Dal rapporto Ocse emerge che il Belpaese offre retribuzioni tra le più basse, collocandosi al ventesimo posto sui trenta paesi di cui si hanno i dati: il salario medio annuo di un lavoratore italiano è 33.849 dollari, a fronte dei 42.000 di un collega tedesco e dei 39.000 di un francese.
L’organismo internazionale, a conclusione dell’outlook, spezza una lancia a favore della tanto vituperata riforma Fornero e rilancia sul tema della flessibilità nei contratti di lavoro. Dal rapporto si legge, infatti, che la riforma “dovrebbe migliorare la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro nel futuro, grazie in particolare al nuovo art.18 che riduce la possibilità di reintegro in caso di licenziamento, rendendo le procedure di risoluzione più rapide e prevedibili. Ciononostante, l’Italia resta uno dei Paesi Ocse con la legislazione più rigida sui licenziamenti, in particolare riguardo alla compensazione economica in caso di licenziamento senza giusta causa”. In questo contesto, secondo l’Ocse “gli elementi raccolti suggeriscono che limitare la diffusione della sanzione reintegratoria sia un elemento chiave per migliorare i flussi occupazionali e la produttività”.