Si è appena consumata una settimana, e soprattutto un weekend, fondamentale per la politica italiana
Tutti gli occhi degli osservatori erano diretti a Bastia Perugia dove il lancio del manifesto fondativo di Futuro e Libertà era visto come prima prova di forza della neo-formazione finiana e come risposta alle quanto mai sbiadite proposte di rilancio giunte giovedì dalla direzione nazionale del Pdl (Berlusconi ha proposto un nuovo patto di legislatura per ottenere de facto il riconoscimento di Fli come terzo attore della coalizione di centrodestra).
Al tempo stesso, sul fronte delle opposizioni, c’era molta attesa per la tre giorni fiorentina del duo Renzi-Civati (il fatto che quando si parli di questo ticket non si utilizzi il criterio alfabetico ben rappresenta i rapporti di forza…) e dall’assemblea dei circoli del Partito Democratico a Roma sfruttata da Bersani come un palco mediatico con cui coprire il fine settimana grazie anche all’ospitalità domenicale del programma di Lucia Annunziata.
Ma andiamo in ordine: se il discorso finiano di Mirabello fu un discorso valoriale, questo di Bastia Umbra, come ben hanno notato alcuni osservatori, è un discorso alla base e ai futuri militanti del nuovo partito (da qualche giorno munito di simbolo con tanto di nome del leader impresso). Per questo tutto l’intervento del Presidente della Camera ha esposto in certi casi concetti duri, complessi ma anche difficili da digerire (per Berlusconi). Un’autentica ovazione ha accompagnato i cinque minuti che hanno racchiuso le condizioni di Fli al Cavaliere: dimissioni del capo del governo, nuovo programma e nuova maggioranza estesa all’Udc.
Inutile dire che al termine “dimissioni” la platea ha tributato una standing ovation e dei cori “Fini, Fini!” che nemmeno al congresso Msi di Rimini del 1990 in cui si dovette capitolare alla componente “sinistrorsa” (o destrorsa?) capeggiata da Pino Rauti.
Un discorso politico basato sui concetti “allarghiamo la maggioranza” e “riscriviamo il programma”, in periodi di vacche magre per la politica, difficilmente può apparire popolare.
Ma Gianfranco Fini coglieva in questo gesto un segnale obbligato per il proseguo della sua strategia: memore della tattica del cerino (che questa rubrica, insieme ad altri organi d’informazione, è stata tra le prime ad adottare come definizione politica!) Fini non può apparire come l’esplicita causa della rottura e della fine del governo. Ma al tempo stesso non può ricucire con Berlusconi.
Non può causare la caduta del governo formalmente poiché lo stesso discorso di Bastia Umbra ben definisce i confini politici su cui Fli applica la sua sovranità politica: un’area di centrodestra che aspira (per quanto a tratti ingenuamente) a rappresentare un blocco liberal-conservatore sulla falsariga degli altri centrodestra europei. Di conseguenza apparirebbe superfluo porsi come i futuri partner di governo di forze come l’Italia dei Valori e il Pd. Senz’altro in certi interventi della due giorni perugina sono emersi anche tentativi di “gettare il cuore al di là dell’ostacolo” come ben testimoniano alcune posizioni per esempio sull’immigrazione e sui diritti civili. Ma come dicono i ben informati oggi come oggi per Fli bisogna puntare sulla destra, perché è lì che (per fortuna) c’è molta meno concorrenza.
In secondo luogo Fini non può ricucire con Berlusconi dopo l’affaire di Montecarlo e tutti i veleni di questi mesi.
Dunque, che fare? Quello che sta facendo Fini: proseguire nella sua opera di lento logoramento per colpire, nel momento sempre più propizio (vigila del 14 dicembre?) il Cavaliere e il governo.
Se le tre condizioni poste da Fini non verranno accolte da Berlusconi, i quattro esponenti finiani nel governo (Ronchi, Urso, Menia e Buonfiglio) sono pronti a dimettersi. Uno scenario del genere non è del tutto inedito per la parabola politica berlusconiana (basti ricordare le dimissioni degli esponenti del governo dell’Udc e del Nuovo Psi a seguito delle regionali 2005 che portarono alla nascita del terzo esecutivo Berlusconi). Ma questa volta ci sarebbe, oltre ad ovvie conseguenze politiche, conseguenze numeriche imprevedibili: di fatto Berlusconi non avrebbe più una maggioranza in un ramo del Parlamento (a meno che non trovi qualche improbabile accordo sulla modalità dell’appoggio esterno) e uno schieramento che alla Camera potrebbe convergere su un nuovo esecutivo tecnico (lasciando però imbrigliata la matassa del Senato).
Le altre due manifestazioni del Pd citate all’inizio ben si rapportano a questo nuovo scenario: Bersani coglie come molti il perimetro politico su cui opera Fini e che rendono inconciliabili le posizioni del Pd con quelle di Fli in situazioni politiche “normali”. Ma al tempo stesso Bersani ricorda come le prerogative costituzionali e le regole del gioco siano qualcosa di tremendamente trasversale.
Di diverso avviso Renzi che, da buon avversario storico di Fini, considera quello di Fli “uno stanco rito da Prima Repubblica” e valuta impraticabile un governo tecnico considerando tra l’altro che il Pd sul tema fondamentale della legge elettorale non ha una posizione chiara. Questa caratteristica (che però curiosamente per qualcuno risulta essere un inaspettato punto di forza per i democratici in grado di porsi come i mediatori della futura partita dell’esecutivo tecnico) rende dunque impossibile e impraticabile un esecutivo tecnico.
Pare che Berlusconi sia molto provato dagli ultimi eventi. Del resto il suo intervento alla direzione del Pdl non è stato dei migliori (Fini almeno ha parlato a braccio). Pare che si lamenti della sua insonnia dovuta a grane politiche e scandali diurni.
Il cuore della settimana (martedì e mercoledì) può essere un duro colpo ad un altro cuore: quello dell’universo politico berlusconiano.
Se ciò avverrà questo fine settimana, che oggi ci appare fondamentale, verrà fortemente ridimensionato dagli eventi.
E apparirà solo come un apostrofo rosa tra le parole “governo” e “tecnico”.