Sarà pure estate piena in Scandinavia, ma non è tutto fermo, soprattutto numeri e statistiche.
[ad]Negli ultimi giorni in Danimarca sul volto del governo è apparso un cauto sorriso dopo la diffusione dei numeri sullo stato di salute dell’economia del paese.
In Islanda, al contrario, il premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson avrà apprezzato poco i sondaggi più recenti. In Finlandia sembra di essere tornati a tre mesi fa, quando sul tavolo c’era la riforma del mercato del lavoro. Era primavera, ora è estate ma siamo sempre lì.
Quella in Norvegia invece è una calma apparente. L’attività politica è ufficialmente nel bel mezzo della pausa estiva ma è difficile andare in vacanza a meno di due mesi da un appuntamento elettorale che potrebbe cambiare radicalmente il panorama del paese.
Dopo otto anni, infatti, il governo di centrosinistra sarà probabilmente congedato. Da mesi lo dicono i sondaggi e nell’ultima settimana ci si è messa pure la statistica.
Un gruppo di ricercatori ha infatti utilizzato un sistema di calcolo americano per provare ad anticipare l’esito del voto del prossimo 9 settembre. Il risultato: c’è il 91 per cento di possibilità che Destra e Partito del Progresso siano in grado da soli di formare un governo. La situazione più insidiosa è quella del Partito della Sinistra Socialista che potrebbe ritrovarsi sotto la soglia di sbarramento del 4 per cento, ottenendo un solo seggio parlamentare.
Il premier laburista Jens Stoltenberg avrebbe insomma poche possibilità di ribaltare la situazione. A prendere il suo posto sarà quasi certamente Erna Solberg, leader del partito della Destra, che nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano svedese Dagens Nyheter. “Non immagino stravolgimenti repentini” ha detto la 52enne, “ma è chiaro che ci saranno cambiamenti”, a partire dal tentativo di separare più nettamente il destino della Norvegia da quello della sua industria petrolifera.
Ci sarà poi una spinta maggiore alla collaborazione tra settore pubblico e privato, soprattutto in campo sanitario. Per quanto riguarda la scuola, invece, Solberg aveva già proposto di introdurre l’obbligo della formazione continua per gli insegnanti. Per riuscirci, in caso di vittoria elettorale la Destra si è impegnata a raddoppiare i fondi per la formazione dei docenti.
In Danimarca invece la pausa estiva non è ancora terminata e la politica resta relegata in basso sulle pagine dei quotidiani: un intervallo, questo, che non può che fare bene a un governo pieno di problemi come è quello guidato dai socialdemocratici.
Una buona notizia è comunque arrivata: si vedono piccoli segnali di ripresa per l’economia danese. Ad esempio è calato il ritmo con cui le aziende dichiarano bancarotta: in Danimarca si è tornati al livello del 2009. Il peggio è passato? Forse. Meglio essere prudenti.
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[ad]Gli economisti invitano alla prudenza considerato che i licenziamenti continuano ad essere numerosi, la spesa pubblica resta alta, il mercato interno ristagna e non si intravede una vera ripresa nel contesto europeo. Insomma non sarà la luce in fondo al tunnel, ma almeno quel tunnel ai danesi sembra un pochino meno buio.
In Islanda sono passati neanche due mesi dall’insediamento del nuovo governo di centrodestra e per i cittadini è tempo di dare i primi voti. Lo fanno attraverso lo strumento più classico, quello dei sondaggi. Secondo una rilevazione dell’MMR, il supporto nei confronti del Partito progressista del premier Gunnlaugsson è sceso al 16,7 per cento. E sono un bel po’ i punti persi, visto che alle elezioni dello scorso aprile il partito era arrivato al 24,4. A salire è il Partito dell’Indipendenza, partner di governo, che rispetto al voto di tre mesi fa guadagna tre punti e arriva al 29,7. L’opposizione resta più o meno dov’era, con l’Alleanza Socialdemocratica al 13,5 per cento (era stato il 12,9 ad aprile).
Cosa non è piaciuto agli islandesi fino a oggi? Forse la decisione del governo – contestatissima – di ridurre le tasse ai colossi dell’industria della pesca, o forse le difficoltà incontrate nell’elaborare una strategia che riduca il peso dei debiti sulle famiglie, rebus politico e finanziario a tutt’oggi irrisolto.
Un’altra questione spinosa arriva direttamente dal continente, per la precisione da Bruxelles. Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso ha rivolto un invito al governo islandese affinché decida il più in fretta possibile se interrompere o meno le trattative per l’adesione all’Unione europea. “È nell’interesse di tutti che questa decisione sia presa senza ulteriori rinvii” ha detto Barroso, “se l’Islanda lo vuole, noi restiamo impegnati a continuare il processo che, sono sicuro, può tener conto delle specificità del paese”. Insomma Bruxelles rispetta la decisione islandese di mettere l’intera faccenda nelle mani del popolo attraverso lo strumento di un referendum, ma chiede comunque che si faccia presto.
Non è la prima volta che al governo si chiede di decidere in fretta, ma da Reykjavík fanno sapere che una data per il voto popolare ancora non è stata fissata. “Siamo favorevoli a una cooperazione” ha detto Gunnlaugsson, “ma dobbiamo ancora capire quale soluzione sia la più opportuna per l’isola”. Nel frattempo, la disoccupazione continua a calare: a giugno è al 3,9 per cento. Un livello così basso non si registrava dal 2008.
La Finlandia invece è concentrata sulle trattative per la riforma del mercato del lavoro. Se ne è tornato a parlare da un paio di settimane, dopo che se ne era discusso per mesi a cavallo tra l’inverno e la primavera. La scorsa settimana il ministro delle Finanze, la laburista Jutta Urpilainen, ha chiesto ai datori di lavoro e ai sindacati di trovare un accordo sui salari, precondizione indispensabile per aumentare il potere d’acquisto e ridare un po’ di stabilità a un’economia che non gode di ottima salute. “L’economia si sta contraendo”, ha ricordato Urpilainen, “e la spesa pubblica sta aumentando”. Due notizie per nulla incoraggianti che nei piani dell’esecutivo dovrebbero spingere le parti a trovare finalmente un’intesa.
Un altro invito è arrivato dal presidente della Repubblica Sauli Niinistö, che si è ha rivolto alle aziende chiedendo loro più coraggio: “Credo che le imprese dovrebbero guardare oltre il risultato trimestrale” ha spiegato, “e mirare più avanti nel futuro” assumendo soprattutto giovani disoccupati. Un invito finora rimasto inascoltato.