Tra F35, sigarette elettroniche e scandali internazionali, in politica tutto “finisce a tarallucci e vino”
La solita sporca storia che ormai è parte integrante del dna della politica italiana. Nel mezzo delle diatribe inscenate da una accozzaglia di dichiarazioni fuorvianti in stile leghista, sono andati in scena due atti della politica italiana trattati di striscio dai media di informazione.
La scena è degna di una recita scolaresca che in mezzo ad insulti animaleschi attirano a se l’attenzione mediatica fino a far passare inosservati provvedimenti di portata nazionale ben più importanti. I due atti politici della settimana rimasti quasi nascosti, sono quelli relativi alla storiella degli F35 e alle e-cig, le sigarette elettroniche.
[ad]Il primo atto è quello più spinoso e delicato. Arrivata finalmente in senato, la discussione sull’acquisto degli F35, passata per inutili quanto fuorvianti tesi a favore e contro, ha avuto il via libera finale, obbedendo al sistema europeo. La logica dei poteri forti e degli obblighi internazionali che privano la legislazione politica italiana di ogni valore si è consumata degnamente con i 200 voti a favore della mozione, votata con orgoglio dalla maggioranza del governo e da esponenti di quello stesso Pd che in campagna elettorale per voce del suo segretario Bersani invocava un’urgente quanto doverosa rivisitazione del programma sugli F35.
La convinzione con cui il senatore Latorre del Pd ha sbandierato ai quattro venti il voto a favore della mozione è un atteggiamento evidente di chi se ne frega della base del partito, assolutamente contraria alla questione degli arei da combattimento.
Il secondo atto è la discussione relativa alla proposta di aumento della tassa sulle sigarette elettroniche, ipotizzabile al 58%,un tesoretto che servirà, almeno ufficialmente, per salvaguardare i posti delle guardie carcerarie, mentre c’è chi ipotizza che l’aumento della tassa presupponga un nuovo rinvio dell’aumento dell’Iva.
Due atti intervallati dallo scandalo kazako sullo sfondo, scena di incompetenza sviscerata dalla respinta della mozione di sfiducia per il ministro Alfano, novello Ponzo Pilato, sulla cui richiesta di sfiducia pesa la contraddittorietà delle dichiarazioni del premier Letta, il quale pur riconoscendo l’evidente discredito internazionale del nostro paese, ribadisce l’estraneità del ministro agli Interni Alfano, mascherando questa dichiarazione come ennesimo atto di fiducia al governo.
Una vicenda che Massimo Giannini di Repubblica ha definito conclusa “a tarallucci e vino”, metafora ideale della gestione delle questioni italiane.
Uno stato di ricatto che tiene ostaggio un Partito Democratico ormai lontano anni luce dalla propria base elettorale. Uno stato di ricatto che per Grillo e i 5 stelle è un ulteriore segnale di come “Berlusconi dimostri chi è che comanda in questo governo”.