Che Gamma sia lui o meno, della excusatio non petita del viceministro Roberto Castelli rispetto alle confessioni del pentito Giuseppe Di Bella, contenute nel nuovo libro di Gianluigi Nuzzi (Metastasi, Chiarelettere), non mi convince in particolare una cosa. E cioè che Castelli rimproveri a Nuzzi di aver sostituito il nome del politico leghista che, nel marzo 1990 a Lecco, si sarebbe incontrato con il boss ‘ndranghetista Franco Coco Trovato con una lettera dell’alfabeto greco. Gamma, appunto. L’uomo che avrebbe ricevuto i voti della ‘ndrangheta prima di giungere in Parlamento e a incarichi di governo.
In una intervista a La Padania di oggi, l’ex guardasigilli accusa infatti l’autore di Metastasia questo modo: «Bisogna che Nuzzi abbia il coraggio di tirare fuori il nome. Troppo comodo fare l’identikit senza dirlo, si prenda le sue responsabilità». Lo stesso aveva fatto reagendo a caldo alla notizia, come riportato da Libero ieri: «Troppo comodo lanciare accuse e insinuazioni a cui non si può ribattere», scrive Castelli in una nota, «invito questo “signor pentito” a fare nomi e cognomi». Secondo il viceministro, dunque, la decisione di Nuzzi di stendere quel “velo d’ignoranza” risponderebbe all’intento di muovere accuse generiche, godendo degli onori del chiasso mediatico suscitato dalla pubblicazione senza assumersene gli oneri.
Ma Di Bella ha già accettato l’invito di Castelli, e quei nomi e cognomi li ha fatti eccome. Tanto che la prima copia del libro, che li contiene, è finita in mano al procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia, Giancarlo Capaldo. A cui ha immediatamente fatto seguito l’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Roma. In cui, è bene precisarlo, “Gamma” (chiunque sia) non è indagato.
Resta dunque in ballo la richiesta a Nuzzi di dire apertamente chi sia questo benedetto Gamma. Nuzzi ha preferito lasciare alla magistratura la risposta. Se quest’ultima lo riterrà opportuno, Gamma avrà tempo e modo di ribattere. Se invece non ce ne sarà bisogno, vorrà dire che quelle accuse erano inconsistenti. In nessun caso, dunque, si tratta di «accuse e insinuazioni a cui non si può ribattere».
Stupisce, poi, che Castelli non abbia elogiato Nuzzi per la sua decisione, decisamente contraria al “giustizialismo dipietrista-travagliesco” e al diffondersi dei “processi mediatici” che la Lega tanto detesta. Come non manca di ripetere quando si tratta dei processi del presidente del Consiglio, delle accuse a Dell’Utri o Cosentino. A cui la Lega, in un eccesso di zelo garantista, ha perfino consentito di vedere negata dalle Camere l’autorizzazione all’arresto e all’uso di intercettazioni.
E allora io mio chiedo: possibile che adesso, invece, Castelli si lamenti in sostanza del “garantismo” di Nuzzi, accusandolo addirittura di mancare di senso della responsabilità? A me sembra piuttosto vero il contrario, e che di certo più irresponsabile sarebbe stato dare immediatamente in pasto ai giornali quei nomi e quei cognomi. Che avrebbero interamente sostituito il dibattito sul contenuto del libro con quello, tutto politico, sulle accuse in esso contenute. Che però sono solo parte della storia, come mi ha detto lo stesso Nuzzi, prima della presentazione milanese di Metastasi.
Certo, restano le descrizioni, i dettagli, le valutazioni personali. Ma forse al viceministro un solo atteggiamento di Nuzzi sarebbe stato gradito: il silenzio. Ecco, appunto.