Commemorazioni, Europa e approfondimenti: la settimana scandinava
In Scandinavia sono giorni di calma relativa. La pausa estiva diluisce gli scontri politici. C’è spazio per altro.
In Danimarca ad esempio ci si interroga su come sia cambiato il paese negli ultimi anni. Dalla Svezia arriva un no alla proposta di Bruxelles di istituire l’ufficio del Procuratore Pubblico europeo, mentre l’Islanda si gode il parere positivo dell’agenzia Moody’s.
In Norvegia, invece, questi sono stati i giorni del dolore. Lunedì scorso è stato celebrato il secondo anniversario della strage del 22 luglio 2011, quando tra Oslo e Utøya persero la vita settantasette persone, uccise dall’estremista di destra Anders Behring Breivik. Ma tra le cerimonie e il raccoglimento s’è affacciata anche la politica, argomento attualissimo in una Norvegia che tra un mese e mezzo andrà al voto.
[ad]“La missione principale nella campagna elettorale sarà far capire ai norvegesi che il nostro governo è la soluzione migliore per il futuro del paese”, ha detto il primo ministro laburista Jens Stoltenberg, il cui indice di gradimento secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Aftenposten è sceso al 36 per cento. Erna Solberg, leader del partito della Destra, veleggia intorno al 50 per cento.
Quella di Stoltenberg sembra una missione destinata a fallire: quasi impossibile centrare il terzo mandato consecutivo. La speranza per il centrosinistra è che a far affondare gli avversari siano le tante ruggini e differenze che ci sono nel blocco di centrodestra.
L’ennesimo esempio è fresco di un paio di giorni. In caso di vittoria elettorale, la Destra ha promesso di tagliare le tasse sulle pensioni. Curioso ma non troppo che l’affondo più duro sia arrivato dal Partito del Progresso, probabilissimo alleato di governo: secondo Robert Eriksson, portavoce per la politica sociale, la Destra non è credibile quando affronta un argomento del genere. “Quando ci siederemo al tavolo insieme agli altri partiti per discutere la nascita del prossimo esecutivo” ha concluso Eriksson, “per noi il tema delle pensioni sarà fondamentale”, come a dire che se c’è qualcuno che vuole difendere sul serio i diritti dei pensionati, quel qualcuno è il Partito del Progresso. E non la Destra.
In Svezia invece in queste settimane si parla poco di politica e a guadagnare spazio sono altre questioni. Al governo di Stoccolma non piace ad esempio la proposta della Commissione europea di istituire il Procuratore Pubblico europeo, che nei piani di Bruxelles dovrebbe combattere soprattutto la gestione fraudolenta dei fondi comunitari.
Per Manuel Barroso l’ufficio dovrebbe diventare operativo a partire dal 2015. Perplesse sono Copenhagen, Londra e Stoccolma: un’alleanza a cui ormai bisogna fare l’abitudine, considerato che questi paesi la vedono in modo simile su molte questioni e si spalleggiano a vicenda.
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Il ministro della Giustizia svedese Beatrice Ask ha accolto freddamente la proposta di Bruxelles: la direzione è giusta, ha detto la guardasigilli, ma potrebbe dar via a un trend nel quale un pubblico ministero agisce liberamente senza il rispetto dei confini nazionali. E questo sviluppo a Stoccolma non piace.
In Danimarca questi giorni d’estate servono ai giornali per provare a fare qualche approfondimento. Il quotidiano conservatore Berlingske Tidende si è fatto due domande: come è cambiata la società danese negli ultimi anni? E quali idee politiche e socioeconomiche si sono fatte strada a Copenhagen e dintorni? Il Berlingske Tidende ha tentato di rispondere descrivendo la traiettoria di una persona: parliamo di Søren Pind, membro del partito Liberale, ex ministro dell’Integrazione, da molti colleghi considerato una sorta di falco dalle opinioni ultra-liberiste.
Pind ha le idee chiare da anni: ha sempre sostenuto la necessità di drastici tagli fiscali, una riduzione del settore pubblico, l’importanza della responsabilità individuale, l’esigenza di una ridefinizione dei confini del welfare alla luce delle mutate priorità economiche generali. Ora secondo il Berlingske Tidende molte delle sue argomentazioni trovano sostenitori in giro per la società danese.
[ad]Solo dieci anni fa non era così. Johannes Andersen, professore di sociologia all’Università di Aalborg, sottolinea che queste idee sono penetrate non solo popolo danese, ma anche in generale nel panorama politico e in particolare nell’attuale esecutivo di centrosinistra.
Quella del Berlingske Tidende è un’opinione e come tale va presa, ma propone uno spunto di riflessione interessante, considerato che negli ultimi mesi il governo guidato dalla laburista Thorning-Schmidt è stato spesso accusato di proporre politiche sociali ed economiche più a destra del precedente governo conservatore.
L’Islanda nel frattempo incassa il parere positivo di Moody’s. L’agenzia di rating ha promosso l’economia islandese pur mantenendo qualche riserva: le finanze pubbliche si sono rimesse in sesto, la crescita è buona anche se non come ci si poteva aspettare. Un plauso va al governo di centrosinistra congedato tre mesi fa da dagli elettori: secondo Moody’s sono state prese le decisioni giuste per scongiurare un altro crack del settore bancario.
Le sfide ora si chiamano debiti delle famiglie e tassazione, e proprio quest’ultima secondo l’agenzia non dovrebbe essere tagliata: il rischio sarebbe quello di tornare indietro. Il destino dell’isola, conclude l’agenzia di rating, è legato agli investitori stranieri. È di quei soldi che Reykjavík ha bisogno.