Chissà se, dopo la maratona di discussione alla Camera per approvare il “decreto del Fare” qualcuno dei deputati sarà sufficientemente sveglio per leggere con cura e capire le norme che dovrebbe votare…La domanda è lecita, visto che può bastare un emendamento, dall’aspetto innocente, piazzato lì in mezzo a tanti, e improvvisamente viene cancellata una disposizione fondamentale del sistema penale, quasi senza che qualcuno se ne accorga.
Ad esempio, quella sul finanziamento illecito ai partiti, minata da giorni da una proposta di modifica targata Pdl.
Capita così che nel disegno di legge (Atto Camera 1154) che dovrebbe superare il sistema del finanziamento pubblico diretto ci sia l’articolo 10 che prevede il già noto (e non troppo gradevole) meccanismo della destinazione volontaria ai partiti del 2 per mille dell’Irpef e che alla commissione Affari costituzionali il 17 luglio sia presentato l’emendamento 10.03 che richiede l’inserimento di un articolo 10-bis, che vista la collocazione si presume riguardi anch’esso il 2 per mille o qualcosa di simile.
Di tutt’altro tenore il testo dell’unico comma: «All’articolo 7, terzo comma, della legge 2 maggio 1974, n. 195, le parole da “reclusione” a “triplo” sono sostituite dalle seguenti: “sanzione amministrativa pecuniaria pari al triplo”».
Detto così non si capisce nulla, ma a digitare su Google gli estremi della legge (rubricata «Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici») si scopre che il terzo comma dell’articolo 7 oggi prevede il carcere (da 6 mesi a 4 anni) e una multa fino al triplo delle somme versate in violazione della legge per «Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti dai commi precedenti»: vale quando a finanziare partiti o gruppi parlamentari siano organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento (o anche con partecipazione minore, se il pubblico controlla la società) o altri soggetti, magari privati, controllati da quelle stesse società, oppure quando il finanziamento viene da ogni altro tipo di società e il contributo non sia stato deliberato dagli appositi organi o non sia stato iscritto nel bilancio della società stessa.
Per farla breve, se un’ex azienda municipalizzata oggi finanzia un partito, i suoi dirigenti vanno (o dovrebbero andare) in galera e devono pagare una multa; se passasse l’emendamento in questione, la cella non la vedrebbero mai, mentre continuerebbero a dover pagare il triplo del versato, ma sarebbe solo una sanzione amministrativa e la “fedina penale” non risulterebbe macchiata.
Se si va a vedere chi ha proposto una decina di giorni fa l’emendamento, escono i nomi di Maurizio Bianconi (vicesegretario amministrativo del Pdl, dunque tra coloro che si occupano più da vicino dei conti del partito), Annagrazia Calabria (coordinatrice nazionale di Giovane Italia), Elena Centemero (coordinatrice nazionale scuola e cultura del Pdl), Laura Ravetto (ex sottosegretario per i rapporti col Parlamento nell’ultimo governo Berlusconi) e Francesco Saverio Romano (già ministro dell’agricoltura in quota Popolari di Italia domani, dopo aver abbandonato a tempo debito l’Udc).
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Sottolinea Liana Milella su Repubblica che «Mai, in vent’anni di norme per demolire il codice penale, si era osato tanto».
Probabilmente è vero: fosse entrata in vigore una norma simile trent’anni fa, tutte le inchieste e i processi del filone Mani Pulite sarebbero finite nel nulla.
Ma, volendo, anche la vicenda giudiziaria che vede ancora imputato Filippo Penati, oppure le inchieste che hanno finito per coinvolgere nomi ben noti in casa Pdl come Claudio Scajola e Marco Milanese.
L’idea che certe condotte siano punite solo con una sanzione amministrativa (anche se pesante), dando ovviamente l’idea che siano meno gravi di quelle punite da norme penali, è un pessimo risultato, per un provvedimento che nel titolo si propone anche di raggiungere «la trasparenza […] dei partiti».
Ora la magistratura, attraverso l’Anm, si premura di dire che la nuova norma avrebbe un potere repressivo e preventivo nettamente inferiore e ricorda, per l’appunto, che con quelle condizioni Mani Pulite non ci sarebbe mai stata (e questo, a qualcuno, avrebbe fatto piacere).
Tra le reazioni tra lo stupito (magari per non aver letto a dovere il testo) e l’indignato, fa da contraltare quella di Maria Stella Gelmini che dichiara la disponibilità a riformulare il testo, ma non a ritirarlo: «L’emendamento è stato interpretato in maniera non corretta – ha spiegato a Giulia Santerini di Repubblica – contempla il caso in cui una società ha iscritto a bilancio il contributo a un partito, quindi non è un comportamento doloso, ma incorre nella dimenticanza di non far deliberare su questo il consiglio di amministrazione, magari perché il commercialista non l’ha segnalato».
Peccato che la lingua italiana non sia un’opinione: l’emendamento, per come è scritto, si riferisce anche a tutte le dazioni di denaro provenienti da amministrazioni, enti pubblici e società partecipate. Lo capirebbe chiunque abbia il dono della lettura, anche senza stato ministro dell’istruzione come la Gelmini.