Io non so cosa insegnino nelle scuole di «alcuni paesi europei». So però quello che insegnano presso la Santa Sede. E non riesco a immaginare cosa un qualunque corso di educazione sessuale possa inculcare nelle giovani menti degli alunni di più profondamente errato e pericoloso del concetto espresso oggi da Benedetto XVI. Che ha messo in guardia dai rischi di una educazione che si finge neutra rispetto alla persona e alla vita, che si finge voce della libertà, e in realtà contiene un’accusa ideologica. Un pregiudizio scientista, modernista, si potrebbe dire. O meglio, con le parole del Pontefice, «un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione». Compiendo una operazione del tutto analoga.
Joseph Ratzinger è una persona troppo intelligente per non essersene reso conto: sostenere che vi sia un legame immediato tra una forma di educazione e la negazione della libertà, in questo caso di quella religiosa, è quanto di peggio il pensiero dogmatico abbia mai proposto nella storia delle idee. L’educazione, se elargita in buona fede e rispettando i criteri della comunità scientifico-accademica, non è mai negazione della libertà. E la verità di questa frase si misura dalle sue conseguenze: in questo caso, l’ignoranza significa gravidanze indesiderate, malattie veneree, in certi casi perfino la morte. Per non parlare del disagio con cui certi tipi di personalità possono affrontare l’ideale sessuale propagandato dalla confessione cattolica. Disturbi più facilmente evitabili grazie agli sforzi di quanti, nei secoli, si sono impegnati per affrontare il tema del diritto alla vita e della salute impugnando non un testo sacro, ma gli attrezzi della medicina e della scienza.
Il Papa, in veste di educatore, ha oggi insegnato che l’ignoranza è forza. Che a scuola non si debbano suscitare domande, ma impartire risposte. Che l’ordine, la correttezza e la giustizia si mantengano privando gli alunni di una forma di conoscenza, piuttosto che infondendo in ciascuno di essi la capacità di valutarne la sensatezza con il proprio spirito critico, mettendo in gioco il proprio senso di responsabilità. Certe verità devono essere intenzionalmente taciute, anche contro il bene dell’individuo e proprio nel luogo deputato a pronunciarle ad alta voce.
Il pensiero di una istituzione che dovrebbe rappresentare un Dio che è amore e invece identifica la libertà con la propria libertà; addita come nemico il dubbio, quello stesso dubbio da cui così spesso nella storia è scaturita la fede; riduce il rispetto del sacro a quello di un insieme di precetti morali è quanto di più triste, di più relativista, di più insensato questa era abbia finora proposto.