Pd, niente accordo sulle regole del congresso. E adesso Renzi potrebbe tirarsi fuori.
La mancata adozione di decisioni definitive nella direzione di venerdì scorso ha mostrato plasticamente l’incapacità del partito di giungere ad una sintesi che possa tenere in considerazione i vari orientamenti emersi nel corso del vertice.
La decisione di non decidere e di rinviare il dibattito sulle regole probabilmente all’assemblea nazionale di settembre raffigura meglio di ogni altra cosa la crisi d’identità che l’esperienza di governo con l’alleato-avversario Pdl sta provocando nella psiche del partito, della sua classe dirigente, della sua base. L’accordo sulle regole per il momento sembra un miraggio lontano.
Da un lato, l’asse tra il segretario Epifani e il ministro Franceschini, rafforzato da bersaniani e filogovernisti, a portare avanti l’idea del congresso chiuso, con la partecipazione dei soli iscritti. Dall’altro, la posizione di Renzi e dei suoi, ad invocare una fase congressuale aperta che culmini nella designazione del segretario attraverso primarie cui far partecipare chiunque decida di concorrere alla scelta del leader democratico.
Posizione, questa, su cui si è, però, formata un’anomala convergenza con i giovani turchi a sostegno della candidatura già ufficializzata di Gianni Cuperlo, con l’ex presidente del partito Rosy Bindi (nonostante i durissimi scontri verbali avuti con il sindaco rottamatore ) e con Pippo Civati pronto a rappresentare il malessere della base movimentista nei confronti di scelte imposte dall’alto che prevedessero il diritto di voto solo agli iscritti.
Posizioni per il momento inconciliabili che rischiano di far deflagrare il partito, aprendo persino scenari apocalittici di scissione. Due, in particolare, i nodi da sciogliere e su cui la discussione interna si è pericolosamente avvitata. Coincidenza tra segretario e candidato premier e modalità di selezione del leader. Due questioni solo apparentemente slegate, la cui soluzione al contrario appare inevitabilmente intrecciata.
La strada tracciata dal discorso del segretario-reggente Epifani prevede un primo step, da tenersi all’interno della struttura congressuale, per eleggere il segretario, ed una seconda tappa, da percorrere in tempi non ancora definiti e solo in caso di crisi irreversibile delle larghe intese, per individuare il candidato da lanciare nella corsa verso Palazzo Chigi, magari attraverso primarie di coalizione da tenere insieme agli eventuali alleati elettorali.
Una road map questa, su cui pare essere d’accordo anche Fabrizio Barca, che inevitabilmente indurrebbe a tenere distinti i due ruoli e garantirebbe il mantenimento del sostegno del partito all’esecutivo guidato da Enrico Letta.
Se queste dovessero essere le regole con cui ingaggiare la battaglia congressuale, Matteo Renzi si chiamerebbe verosimilmente fuori dalla contesa, innescando una crisi ancor più grave di quella a cui stiamo assistendo.
Il sindaco di Firenze ha posto come condizione irrinunciabile per formalizzare la sua candidatura al vertice del Nazareno l’automatismo, presente in quasi tutte le democrazie europee, che preveda che il leader del partito divenga il candidato alla guida del governo.
Per far questo, in realtà, sarebbe sufficiente lasciare invariato lo statuto del partito che prevede tale automatismo, e dal quale si è derogato proprio per permettere a Renzi di sfidare Bersani alle primarie dello scorso novembre. Anche sul versante primarie aperte/ primarie chiuse, Renzi chiede di proseguire l’esperienza finora seguita dal partito che, sia nel 2007 con Veltroni, che nel 2009 con l’ex segretario Bersani, ha seguito il metodo delle primarie aperte potenzialmente a tutti, ponendo quale uniche condizioni il versamento dell’obolo dei due euro e la sottoscrizione di una carta dei valori. Sullo sfondo della battaglia sulle regole congressuali, la vera questione che agita le acque in casa democratica continua a essere il grado d’intensità e di coinvolgimento nel sostegno alla strana maggioranza guidata da Letta. I sostenitori del congresso chiuso e della separazione tra leader di partito e candidato alla premiership temono, infatti, che l’ascesa di Renzi alla testa del partito, e in rampa di lancio per eventuali elezioni anticipate nel momento in cui il governo esalasse il suo ultimo respiro, non farebbe altro che aggiungere ulteriori fibrillazioni alla già precarie fondamenta su cui si regge la maggioranza, accelerando la fine della stagione delle larghe intese e aprendo verosimilmente la porta alla nuova battaglia elettorale.
Gianni Parlatore