Mettiamo pure che domani sia effettivamente l’ora B. Supponiamo dunque che la Suprema Corte di Cassazione – facendo valere tutte le sue maiuscole – già domani emetta la sua sentenza per concludere (definitivamente?) il processo a Silvio Berlusconi sulla vicenda della compravendita dei diritti tv. È giusto chiedersi come finirà in aula, ma non si può evitare di pensare alle conseguenze che un esito o l’altro potrebbero provocare in altre aule – quelle delle Camere – e a Palazzo Chigi. Sembra tramontata l’ipotesi che da una conferma della condanna di Berlusconi possa automaticamente derivare la caduta del governo presieduto da Enrico Letta, ma vale la pena esaminare le varie ipotesi possibili.
Conviene partire, ovviamente, dal caso più semplice, ossia la cassazione della sentenza d’appello senza rinvio alla Corte d’appello, con la Suprema Corte che ritiene di poter assolvere l’ex Presidente del Consiglio in base agli accertamenti di fatto svolti nei gradi precedenti. Si tratta del caso più semplice perché, sul piano della stabilità del Governo, dovrebbe cambiare piuttosto poco: i parlamentari del Pdl gioiranno per l’ennesimo tentativo di affondare Berlusconi per via giudiziaria e diranno che l’esecutivo uscirà rafforzato da questa esperienza. Rafforzato, forse, ma con nuove grane da affrontare per il Pd: in caso di assoluzione di Berlusconi, infatti, è improbabile che il Pdl non alzi la posta, pretendendo che la “sua” riforma della giustizia sia messa quanto prima tra le priorità da affrontare, così come non è da escludere che acquistino più consistenza le richieste avanzate nei giorni scorsi da esponenti berlusconiani come Brunetta, per un riequilibrio della squadra di governo a favore del Pdl, magari minacciando una crisi davanti a resistenze di Letta.
Se la Corte dovesse cassare sì la sentenza di appello, ma rinviandola a un’altra sezione del giudice di secondo grado, probabilmente non si avrebbe una situazione diversa da quella descritta nelle righe precedenti. Sul piano giudiziario, sarebbe difficile (per non dire quasi impossibile) arrivare a una nuova sentenza di appello entro i termini della prescrizione, dunque la vicenda processuale di cui si parla ora non si chiuderebbe con una condanna di Berlusconi; sul piano politico, resterebbe comunque la cassazione della prima sentenza, con il riconoscimento da parte della Suprema Corte che i giudici a Milano avevano “giudicato male”, tanto basterebbe al Pdl per sventolare di nuovo la bandiera dell’accanimento giudiziario, con i risvolti già analizzati prima. Un eventuale rinvio dell’udienza, magari con l’affidamento della vicenda di nuovo alla terza sezione della Corte, rimanderebbe il problema ma probabilmente andrebbe a vantaggio di Berlusconi e non metterebbe in pericolo il governo.
(per andare alla pagina successiva, clicca sul numero 2)
Il caso più delicato, manco a dirlo, si avrebbe in caso di conferma della sentenza di secondo grado, dunque della condanna a quattro anni di carcere (tre dei quali coperti da indulto) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, l’elemento più insidioso tra quelli in campo. Come ha ricordato Fabrizio Neironi per Termometro Politico, ciò comporterebbe – al termine di un procedimento ben definito – la decadenza di Berlusconi da senatore. Settimane fa, qualche “falco” intransigente tra i berlusconiani aveva minacciato di minare la stabilità del governo, anche se non ci sarebbe il minimo spazio per dire che l’esecutivo o alcuni suoi membri hanno influenzato o indotto la Cassazione a confermare la condanna. Anche sulla scorta di questa considerazione, l’ipotesi di far cadere in automatico il governo sembra sfumata, anche perché in fondo al Pdl conviene che sia il Pd a doversi addossare in buona parte la responsabilità di certi provvedimenti, a partire proprio dall’eventuale riforma della giustizia.
Quel che è certo è che la conferma della condanna potrebbe appesantire il clima, gettando fiotti di benzina sui futuri focolai, pronti a divampare in caso di polemiche, magari di provvedimenti “divisivi” legati a temi etici: anche in questo caso i tentativi di alzare il prezzo per evitare la crisi potrebbero essere dietro l’angolo. Allo stesso modo, l’ipotesi adombrata dai falchi pidiellini – quella di dimissioni in massa dal governo e dal Parlamento – non è da escludere: certo, non è detto che coloro che dovrebbero subentrare ai dimissionari abbiano voglia di lasciare gli scranni a tempo di record, ma potrebbe crearsi un problema tutt’altro che trascurabile, anche per i riflessi che la vicenda potrebbe avere sul Pd. A quel punto, nel giro di qualche mese si andrebbe quasi certamente ad elezioni, con Berlusconi ineleggibile e, soprattutto, ancora con il Porcellum come legge elettorale: uno scenario apocalittico, che nessuna persona di buon senso dovrebbe auspicare.