Se in Siria ci fossero veramente le armi chimiche …
… Quali sarebbero le cifre delle stragi?
Poco più di un mese fa la Casa Bianca annunciava che il regime siriano di al-Assad disponeva di armi chimiche contro i ribelli, utilizzate non su vasta scala ma in più battaglie, tanto da provocare l’uccisione di oltre cento persone, secondo indiscrezioni dell’intelligence americana (The Wall Street Journal). Tra le armi utilizzate ci sarebbe anche il GB (o sarin), un gas nervino estremamente tossico, qualificato come “arma di distruzione di massa”, a causa della potente azione distruttiva del sistema nervoso, fino a comportare il soffocamento totale. Solo alcune settimane prima, la stampa francese pubblicava l’inchiesta realizzata da due giornalisti sulle armi chimiche che sarebbero state utilizzate con apparente certezza nell’area di Damasco (Le Monde).
Le dichiarazioni di Ben Rhodes – uno dei principali consiglieri del Presidente Obama in materia di sicurezza – giungevano parallelamente ai comunicati delle Nazioni Unite in merito alle ultime stime della guerra civile siriana, che annovera in soli due anni oltre novantamila vittime, quasi a volersi prendere gioco della mobilitazione internazionale tesa ad una risoluzione pacifica del conflitto.
È il ritratto di un Paese frantumato dalla violenza ancora viva negli animi del suo popolo.
Nel mese di Giugno, l’Onu divulgava i primi esiti cui era pervenuta la Commissione incaricata di indagare sull’uso di armi chimiche e sostanze tossiche, sulla scorta di fondati timori di riscontrarne l’impiego in almeno quattro momenti distinti della guerra civile.
Ancora oggi in Siria la violenza non si ferma e le stragi che investono la popolazione si susseguono ininterrottamente. A parlarne è l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, con base a Londra, che racconta quanto è accaduto pochi giorni fa in un quartiere di Aleppo, dove le milizie fedeli al regime hanno lanciato un missile terra-aria (SAM) dalla base lealista di Qutayfa (The times of Israel). I feriti sfiorano la soglia dei trenta.
Ridicola tendenza è la scusante riciclata alla quale si appella l’esercito, che si affretta ad identificare il bersaglio fallito solo nel quartier generale dei ribelli.
Un destino che trattiene il fiato
Sebbene non sia propriamente agevole verificare l’attendibilità dei dati che provengono dalla Siria, certo è che la parte Est della provincia di Aleppo è stata conquistata dai ribelli da circa un anno, ragion per cui i bombardamenti con missili Scud attuati dalle truppe filogovernative non sembrano cessare. Ma difficile risulta anche dimostrare le informazioni riferite dai media ufficiali siriani sul massacro che alcuni terroristi islamici avrebbero compiuto nella parte occidentale di Aleppo, in un cittadina rimasta per diverso tempo in mano ai lealisti, ove sarebbero morte oltre cento persone (The Daily Star).
È trascorso un intero anno da quando un portavoce del Ministero degli Affari Esteri faceva menzione delle “armi di distruzione di massa” di cui il Paese disponeva. Armi ufficialmente depositate in luoghi sicuri e inaccessibili, sotto il vigile monitoraggio delle forze armate siriane, da utilizzare – stando alle dichiarazioni governative – solo nella fondata ipotesi di aggressione esterna.
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Non si è radicalmente dubitato dell’autenticità di siffatte dichiarazioni, sulle quali si staglia tuttavia un’ombra più intimidatoria che reale, a giudicare dal precipitoso susseguirsi di ritrattazioni del regime e di ulteriori e nuove asserzioni di disertori di alto livello.
Un paradosso certo ingombrante, che rende insufficientemente credibili le scelte compiute dal Paese mediorientale, che già aveva aderito alla Convenzione Internazionale contro la produzione e l’utilizzo di armi chimiche. Ma, ancora distante da prove concrete, la subdola paura di ciò che potrebbe essere vive tra le trame di una semplice congettura.
Ad amplificare supposizioni dense di inquietudine, la voce di Carla Del Ponte (magistrato della Commissione Onu che indaga sulle violazione dei diritti umani in Siria) si è levata anche contro i ribelli che – stando alle testimonianze raccolte fino a Maggio scorso – avrebbero utilizzato armi chimiche, tra cui il gas nervino. E mentre l’ONU si premurava di precisare ancora l’assenza di validi elementi probatori, l’ex Procuratore Del Ponte proseguiva con l’auspicare l’ingresso della Commissione all’interno del Paese, con l’intento di svolgere debiti rilievi su presunti arsenali (The Guardian).
Tra tutte le segnalazioni pervenute finora alle Nazioni Unite, è soprattutto la Russia – partner fedele del regime – ad asserire che l’utilizzo del gas sorin a Khan al-Assal sia stato impiegato dai ribelli dell’opposizione.
Ne populi ad arma veniant
Un passo avanti può leggersi nei fruttuosi accordi che la scorsa settimana hanno avuto luogo a Damasco: il meeting finalizzato a definire le modalità delle indagini sull’uso di armi chimiche ha coinvolto il capo degli ispettori dell’Onu Ake Sellstrom e l’Alto Rappresentante Onu per il disarmo Angela Kane da una parte, e gli esponenti della politica siriana dall’altra (Haaretz).
Le preoccupazioni della NATO sulla Siria sembrano risentire di fattori a cascata, ossia delle preoccupazioni per i diritti umani e le riforme democratiche, del timore del terrorismo internazionale e della presenza o meno di armi di distruzione di massa. Moti di disappunto contro un crogiolo di elementi giudicati pretestuosi infiammano parte dell’opinione pubblica. Un capolavoro di sottile inganno sarebbe dunque quello intessuto dall’Occidente per giustificare un intervento nel Paese, in nome di anteposte ragioni di allarme che sollecitano “piani di emergenza” (Washington Post).
Ad ogni modo, per esigenze di correttezza, si consideri come il Presidente Obama parlava la scorsa estate di un plausibile intervento militare nella regione, che resterebbe però subordinato all’accertamento dell’uso di armi chimiche contro la popolazione, vale a dire all’inopinabile certezza di un dramma già consumato. Ed è su questa stessa lunghezza d’onda che si collocano la prudenza e la fiducia nelle indagini condotte dalle Nazioni Unite in un Paese in cui il rispetto per l’essere umano si è disperso in un biennio di folle regresso.
La volontà di ricostruire la dignità dell’uomo ed il rifiuto della guerra, tradizionalmente intesa come operazione armata di uno Stato nei confronti di un altro Stato, è il corollario irrinunciabile della logica del disarmare e del prevenire senza aggredire. Entro questo spazio, qualunque scelta strategica militare dovrebbe esclusivamente rispondere alle istanze della giustizia penale internazionale, mai al conflitto o all’occupazione.
Luttine Ilenia Buioni