“La protesta inutile di Occupy Pd” il titolo dell’articolo di Maurizio Belli pubblicato giorni da Termometro Politico.
Pubblichiamo, con piacere, l’intervento di risposta ricevuto da una nostra lettrice che ringraziamo per l’attenzione.
“LE CRITICHE UTILI AD OCCUPY PD” di Elly Schlein
Leggo un interessante pezzo di Maurizio Belli su Termometro Politico, dal titolo “La protesta inutile di Occupy PD”, in cui lamenta che non basti dire #MOBBASTA ed appendere alle porte dei circoli di tutta Italia un foglio simbolicamente strappato (strappato non da noi, appunto, ma da chi ce l’ha fatto firmare per poi dimenticare gli impegni presi):
“Chi si aspettava qualcosa di più drastico dalla punta avanzata della militanza Pd, composta dai tanti giovani che dovrebbero essere arrabbiati e disgustati per il proprio voto, il proprio impegno ed il proprio tempo investiti nelle larghe intese con Berlusconi, rimarrà deluso, dovrà accontentarsi di un hashtag e di un foglio di carta strappato a metà.”
Posto che siamo arrabbiati e disgustati, e che sono convinta che nessuna protesta sia mai del tutto inutile. Posto che la protesta #MOBBASTA ce la siamo inventati in un paio d’ore consci del fatto che organizzare una mobilitazione di piazza il 20 luglio sarebbe stato ben oltre le nostre possibilità, in poche ore e senza avere alcun mezzo a disposizione. E che sentivamo l’esigenza di dare immediatamente un segnale forte rispetto all’ennesimo, gravissimo episodio in cui siamo costretti a vedere rinnegati i nostri principi in nome del ricatto #potrebbecadereilgoverno. Posto che questa non è la prima né certamente l’ultima forma di protesta che c’inventeremo per farci sentire, e che ogni critica è benvenuta ed anzi, utilissima, vorrei chiedere cosa esattamente ci si aspetta da noi.
Noi che abbiamo occupato le nostre sedi davanti al pericolo di veder formato un governo opposto a quello che abbiamo promesso ai nostri elettori. Noi che, persa quella battaglia, siamo andati davanti all’Assemblea nazionale, organizzandoci come potevamo e coi nostri mezzi, a dire che “siamo più di 101” e a portare con forza all’attenzione dei delegati e di tutta la stampa nazionale la nostra rabbia e le nostre richieste di un passo indietro ad una dirigenza totalmente fallimentare, di un congresso aperto e di un partito aperto che ascolti i suoi elettori e gli iscritti. Noi che ci siamo rivisti a Prato per contarci e conoscerci ed organizzarci, e che a Bologna abbiamo scritto un documento a trecento mani in una sola giornata, con metodi partecipativi innovativi, e con la consapevolezza che non basta dire che il PD così non funziona se non si dice come bisogna cambiarlo. Noi che venerdì in due ore abbiamo partorito un’idea, è verissimo, di una semplicità disarmante. Un hashtag, e un foglio da appendere alla porta dei circoli. Ma un hashtag che, alla faccia delle #directioners, ha scalato in due ore la classifica dei TT fino alla vetta, tanta è la delusione diffusa cui stiamo cercando di dare voce. E un foglio che in moltissimi, in tutta Italia, dai luoghi più remoti fino alla sede nazionale del Nazareno, iscritti ed elettori arrabbiati sono andati ad appendere alle porte delle sedi PD. E certo, non abbiamo mica scoperto l’acqua calda, né defenestrato nessuno, ma di fronte ad una dirigenza così ostinatamente sorda alle urla di disagio delle persone che dovrebbe rappresentare, di fronte a chi ancora nega pubblicamente un problema di delusione degli elettori, di fronte a chi quotidianamente attacca i pochi “dissidenti” dimenticandosi che ci siamo anche noi, qui sotto, a dissentire profondamente, a me non sembra così poco. E il giudizio sull’utilità credo vada dato sempre in relazione agli scopi che un’azione si prefigge.
Con #MOBBASTA volevamo sollevare un’antenna che ricevesse e rilanciasse tutti i segnali che noi tocchiamo con mano ogni giorno, nelle centinaia di messaggi di elettori ed iscritti inferociti, nei visi imbarazzanti dei nostri segretari, nei sospiri rassegnati dei pluricitati volontari delle feste dell’unità. E il successo dell’iniziativa è andato ben oltre le nostre aspettative. Ci siamo fatti sentire eccome. Sui social, sulle prime pagine del Huffington post, del Fatto Quotidiano, di Repubblica online, del Corriere di Bologna, dell’Unità, nei passaggi sul Tg1, Tg3 e Studio Aperto. E in centinaia si sono aggiunti ai nostri canali per dare sfogo alla stessa rabbia, ed alla stessa voglia di cambiamento che muove noi. E, devo dirla tutta, fossero stati anche meno, sento che la nostra protesta non è inutile se anche solo dieci, di queste centinaia, vorranno rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera sul serio per cambiare le cose, che, per questo sì, non basteranno hashtag né fogli strappati. Ma scommetto che saranno molto più di dieci.
Più difficile è indicare come. Noi intanto ci abbiamo provato il 15 giugno nella nostra iniziativa #102ideepercambiare, da cui è scaturito un documento (che trovate su http://www.occupypd.it) di sintesi di tutte le proposte emerse su come far funzionare meglio questo partito, su come renderlo più aperto e ridare voce alla sua base, e su come superare le dannate logiche correntizie che l’hanno condannato per anni allo stallo, e che ci hanno regalato i 101 e le delizie più recenti . E qui vorrei rispondere a Belli che scrive: “La triste verità che sembra emergere sempre più è che gli “occupypiddini” sono malpancisti alla Civati: ci si indigna, si protesta, ma alla fine si vota e ci si adegua alla linea data dal partito.” A dire il vero noi non siamo in parlamento, e se ci fossimo non saremmo certo lì a votare contro la sfiducia ad Alfano (cosa che, a quanto dice, non avrebbe fatto nemmeno Civati se fosse stato al Senato). E non mi pare proprio che ci stiamo adeguando ad una linea del partito, che anzi disconosciamo in quanto tale, perché decisa non si sa bene da chi. La nostra sfida è un’altra. E mi spiace, ma se facciamo #occupyPD è perché vogliamo restare nel PD, altrimenti uno è liberissimo di occupare qualcos’altro, o di costruirsi una casa nuova. Vogliamo stare nel PD, casa nostra, e vogliamo che il PD diventi per davvero ciò che dev’essere a norma dell’articolo 1 del suo Statuto, “un partito federale di iscritti ed elettori”. Se ci riusciremo, e lo diventerà, siamo sicuri che la “linea” sarà ben diversa, e tra i suoi iscritti non ci sarebbe nessuno costretto a gridare #mobbasta e appendere fogli alle porte sperando di essere ascoltato dai propri dirigenti. Perché è proprio questo il punto. Il PD che vogliamo, è un luogo in cui la linea scaturisce dal confronto e dialogo costante di iscritti ed elettori, è un luogo che porta in sé gli strumenti affinché non manchi mai l’ascolto e la politica sia partecipata e condivisa. Ma il momento in cui affrontare la più ampia discussione democratica coinvolgendo tutti, a porte spalancate, su come cambiare questo PD e su cosa debba essere e fare in futuro, è il congresso. E state sicuri che noi ci faremo trovare tutti pronti, ed utilissimi.
Elly Schlein