«Ci muoveremo perché ti possa essere restituita, nel rispetto della Costituzione, quella libertà, quello che ti spetta per la tua storia, per ottenere quindi da Napolitano il ripristino dello stato di democrazia che questa sentenza ha alterato».
La parola non è stata pronunciata direttamente, ma l’intenzione dei capigruppo Pdl Renato Brunetta e Renato Schifani sembra potersi facilmente tradurre in una richiesta di grazia per Silvio Berlusconi al Capo dello Stato.
L’alternativa al provvedimento di clemenza, a quanto si apprende, sarebbe soltanto la dimissione in blocco di ministri e parlamentari, staccando la spina al Governo e, indirettamente, allo stesso Parlamento.
La risposta, del tutto informale peraltro, del Quirinale somiglia a un piccolo freno, sia pure sul piano “tecnico”: «È la legge a stabilire quali soggetti siano titolati a presentare la domanda di grazia», Ora, non è inutile ripescare le norme (tutte) che regolano la grazia e la posizione degli studiosi del diritto penale, per capire bene i termini della questione. Tutto parte, ovviamente, dall’art. 87 della Costituzione, che elenca gran parte dei poteri del Presidente della Repubblica: il comma 11 dichiara che chi ricopre quella carica «Può concedere grazia e commutare le pene». La previsione è generica: a completarla e specificarla provvedono due norme di natura penale.
Per la dottrina, la concessione della grazia è da incasellare tra le cause di estinzione della pena: ciò significa che la sentenza di condanna resta in piedi, la colpevolezza e (a monte) il reato pure; come atto di clemenza, per motivi di pietà e umanità, può incidere soltanto sulla pena. Nel caso, dunque, Berlusconi non dovrebbe più scontare alcuna pena, ma resterebbe condannato e colpevole (la sentenza è definitiva per l’Italia, salvo revisione): la cosa non è priva di effetti.
La prima disposizione da vedere è l’art. 174, comma 1 del codice penale: innanzitutto precisa che la grazia (in questo accostata all’indulto, che è invece di competenza del Parlamento) condona «in tutto o in parte» la pena inflitta, oltre all’ipotesi di commutazione. La parte più interessante, tuttavia, viene subito dopo: la grazia infatti «non estingue le pene accessorie salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna».
Gli studiosi, in particolare, sono piuttosto chiari nel sostenere che la formulazione della norma renda assolutamente eccezionale l’ipotesi in cui il decreto presidenziale di grazia si rivolga anche alle pene accessorie. Già questo, di per sé, depotenzierebbe – e di molto – lo strumento della grazia non rimuovendo l’ostacolo alla candidabilità di Berlusconi, anche se potrebbe rendergli la libertà. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano potrebbe valutare l’eccezionalità del caso ed estendere la grazia anche all’interdizione dai pubblici uffici, ma certamente dovrebbe considerare la pesante responsabilità politica di un simile gesto.
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Si potrebbe poi discutere sulla nozione di «altri effetti penali della condanna». La legge non li definisce, ma per la dottrina e la maggior parte della giurisprudenza di cassazione sono conseguenze che derivano automaticamente per legge da una sentenza di condanna.
In questo, rientrerebbero anche – come ha sostenuto l’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida su Repubblica – le disposizioni della legge n. 190/2012 (cd. legge Severino). L’art. 63 conteneva la delega al Governo perché inserisse in un decreto legislativo il divieto temporaneo di candidarsi al Parlamento per chi, tra l’altro, sia stato condannato a più di due anni di reclusione per un delitto punibile con una pena superiore a tre anni.
Il decreto legislativo n. 235/2012 riporta la norma che ci interessa all’art. 1, comma 1, lettera c (qui il massimo della pena prevista non dev’essere inferiore a quattro anni, ma non cambia nulla).
Questo effetto penale non potrebbe comunque essere escluso da un decreto di grazia (il codice non prevede alcuna eccezione), dunque non sarebbe una soluzione per far candidare di nuovo Berlusconi.
La giunta per le elezioni e autorizzazioni del Senato, in questo caso, dovrebbe solo prendere atto della causa di incandidabilità e dichiarare la decadenza dal mandato parlamentare.
Da ultimo, c’è il problema sollevato dal Quirinale, ossia chi può sottoscrivere la domanda di grazia da presentare al titolare del Ministero della giustizia. L’art. 681 del codice di procedura penale indica, oltre al condannato stesso, i suoi prossimi congiunti, il convivente, nonché il suo avvocato o procuratore legale (escludendo i casi del tutore o del curatore, che qui non interessano).
Nel caso, dunque, potrebbero presentare la domanda Berlusconi, i suoi figli, il fratello Paolo, l’eventuale convivente, gli avvocati Ghedini e Coppi, ma certamente non Brunetta, che non riveste alcuna delle qualifiche appena viste (Schifani è avvocato, ma non risulta avere un mandato di Berlusconi). Nelle prossime ore si vedranno le mosse studiate dall’entourage del fondatore del Pdl: di certo, la strada per vedere di nuovo Silvio Berlusconi tra i candidati alle elezioni politiche è decisamente in salita.