Sabato 12 febbraio, ore 9.45. Sono al teatro Dal Verme. Dopo qualche minuto un ragazzo mi consegna un volantino. È di Qui Milano Libera. C’è una foto di Berlusconi. Titolo: «Scandalo, non gossip». Tempo qualche secondo e uno dei tanti anziani signori in coda per entrare all’evento organizzato da Giuliano Ferrara lo aggredisce, strappandogli il pacchetto di volantini dalle mani. Arriva un poliziotto, invita i litiganti alla calma (anche se in realtà di agitato c’è solo l’aggressore). Ma intanto allontana il ragazzo coi volantini e i suoi due o tre amici. Che si lamentano: «Non si può nemmeno più distribuire dei volantini?». Nessuno li ascolta. Spariscono, condotti lontano dalle forze dell’ordine. Tra gli insulti.
Poco dopo arriva Corrado Formigli di Annozero con la sua troupe. La presenza non è certo gradita. E così, tra chi sfoggia cartelli come «Di Pietro porco e maiale», con tanto di dito medio, e chi dà del delinquente a lui e ai magistrati di Milano, compare il ministro Ignazio La Russa. Formigli cerca di porgli una domanda. La Russa inizia a rispondere, ma a una domanda che si è fatto da solo. Alza la voce. Poi cambia idea, rivendica la libertà di non rispondere. Anzi, di rispondere quando per il pubblico di Annozero varrà la par condicio (come se lo stesse ascoltando e giudicando sempre, anche in quel momento). Infine prende a pedate il cronista dopo averne insultato la sorella.
Ore 13.20. L’incontro è appena terminato. Formigli ritrova La Russa all’uscita. Il ministro sembra molto più disteso: abbronzato, casual, chiacchiera un po’ con un ombrosissimo Filippo Facci, poi con una signora, poi prende sottobraccio il cronista di Annozero, dicendosi dispiaciuto per quanto accaduto in precedenza. Ma tutto intorno si forma un capannello di persone che bersagliano di insulti il giornalista. «Comunista bastardo», «vai a lavorare», «imbecille», «idiota». Con vette tragicomiche: «Fatelo condurre a Marrazzo, così diventa Anozero». Ah, questi antipuritani.
Nel mezzo tre ore in cui Iva Zanicchi si è guadagnata un posto d’onore nel gotha dei «liberali veri» d’Italia. Piero Ostellino ha detto di pensarla «come Immanuel Kant» e definito i suoi critici dei «censori da Repubblica giacobina». Assuntina Morresi ha ipotizzato sei mesi di seminari sulla Humanae Vitae (ah, l’agognata separazione di etica e politica) prima di potersi pronunciare a favore o contro una certa idea di dignità della donna. Il pubblico si è bruciato le mani applaudendo Daniela Santanchè, che ha«molestato» il Palazzo di giustizia di Milano. E Giuliano Ferrara ha appiccicato all’antiberlusconismo paragoni sul Terzo Reich, la Germania comunista e una pletora infinita di dittature e totalitarismi di un passato che, a sentire l’Elefantino, sta per ritornare presente.
Tutto nel nome del liberalismo. Da un lato, gli «intellettuali» che giocano a fare gli scanzonati, ma colti. In mutande, ma «di chiffon». Dall’altro, il loro pubblico. I primi a riempirsi la bocca di libertà, i secondi a dimostrare, una volta di più, quanto sianoprofonde, tristi e ipocrite le loro bugie.