Lo aveva chiamato il suo «amico». Gli aveva baciato la mano. Lo aveva lasciato mettere in piedi una umiliante baracconata nella splendida cornice della Roma di fine agosto. Con tanto di tenda beduina, centinaia di ragazze trattate come oggetti da conversione, richieste miliardarie per evitare che l’Europa diventasse «nera». E auspici di islamizzazione del Continente. Del resto, come chiosava splendidamente il ministro La Russa, «l’ospite è sacro».
A questo modo Silvio Berlusconi aveva barattato la dignità con gli affari. Un requisito, è bene ricordarlo, non necessario per firmare un contratto. E le violazioni dei diritti umani? Macché, «Il passato del popolo libico carico di sofferenza è consegnato ai libri di storia», pontificava il Cavaliere, tra una canzonetta e un moto di grandeur. Allora le sparate del raìs piacquero al solo Berslusconi. La Lega non digerì il mancato richiamo alle radici cristiane del leader musulmano, i finiani parlarono di Disneyland e insorse perfino l’ordine dei Templari.
Oggi l’uomo che un gruppo di fedelissimi candidò al Nobel per la pace si trova di fronte allo sgretolamento dei propri sogni geopolitici. In Medio Oriente un dittatore dopo l’altro sta capitolando o reagendo alle rivolte con una ferocia degna del proprio titolo. E per il popolo libico le sofferenze che Berlusconi immaginava dimenticate grazie a Gheddafi riemergono con violenza: centinaia di morti, razzi sui manifestanti, cecchini che sparano su un corteo funebre.
Ma Berlusconi fa orecchie da mercante. Il Colonnello è impegnato, meglio non disturbarlo. Nemmeno se, come vantava il ministro Frattini a La Stampa il 2 settembre 2010, «i rapporti che l’Italia ha con Gheddafi non li ha nessun altro Paese». Una posizione che, se reale e fatta valere, potrebbe forse significare il salvataggio di vite umane. Ma delle licenze che Berlusconi concede ai dittatori sappiamo, così come del suo spregiudicato utilitarismo.
Resta da capire, tuttavia, se i tanti che avevano sorvolato sulle atrocità commesse da Gheddafi, pur di giustificare i suoi amichevoli rapporti con il Cavaliere, avranno la dignità di ritornare sui loro passi. Affrontare l’idea che con il «così fan tutti» (il Quirinale ricevette Arafat, la sinistra faceva affari con Chavez) non ci si lava la coscienza. E dire che sì, a volte per difendere l’indifendibile si finisce a guardare un massacro sedendo dalla parte del torto.
(Blog dell’autore: ilNichilista)