Kenya, Somalia, Shebab: petrolio, petrolio e ancora petrolio
Il caso Kisimayo monta. Non è ancora un tema esplicito dell’attualità politica africana, ma da tempo chi segue le vicende di questo continente sa che potrebbe diventare l’epicentro di un groviglio di contrasti e sommovimenti politici in tutta l’Africa Orientale.
Il problema è che Kisimayo, che è il principale porto della Somalia del Sud e gode di una posizione strategica, è ormai una città contesa tra la resuscitata Somalia e il Kenya che ha avuto un ruolo determinante nella resurrezione della Somalia.
Circa un mese fa il governo di Nairobi si è rifiutato di ritirare i propri militari dal Sud della Somalia e in particolare dall’area di Kisimayo, appunto.
A chiedere al Kenya di sgomberare è stato il nuovo governo somalo che è stato insediato su tutta la Somalia del centro e del sud da una operazione militare contro i miliziani islamici di Al Shebab.
Operazione che ha visto direttamente coinvolti, oltre alle truppe di terra e alla marina del Kenya, anche l’Etiopia e oltre quindicimila caschi blu africani dell’Onu. Indirettamente alla missione hanno partecipato anche alcune potenze europee con consiglieri e servizi logistici e di intelligence e i droni degli Stati Uniti.
Perché tutto questo rinnovato interesse per Kisimayo? Per due motivi che riguardano entrambi il petrolio. Su quelle coste, tra le acque territoriali di Kenya e Somalia, esattamente tra Kisimayo e l’isola kenyana di Lamu, sono stati scoperti importanti giacimenti di greggio.
In secondo luogo, proprio sulla costa di fronte all’isola di Lamu (un vero e proprio paradiso naturale che ora naturalmente è a rischio), dovrebbe sfociare l’oleodotto che, secondo accordi tra il Kenya e il Sud Sudan, che porterà il greggio di quest’ultimo paese ad un terminale per l’esportazione.
Il Sud Sudan infatti non ha sbocchi al mare e punta a non commercializzare il proprio greggio dovendo contare sulla logistica, sugli oleodotti e sui terminali dell’ex (neanche troppo ex) nemico Sudan del Nord.
La regione dunque diventerà – forse lo è già – un territorio strategico dal punto di vista energetico ed economico.
Il Kenya sa di poter fare la parte del leone e non si fida di una Somalia ancora fragile che potrebbe far cadere la regione ai combattenti islamici che, si sa, non hanno mai abbandonato la regione.
La Somalia e il suo nuovo governo vedono nella regione dell’Alto e Basso Giuba, e nella principale città, Kisimayo, appunto, una occasione per fare entrare denaro nelle casse dello stato che non ha altre esportazioni di rilievo e che senza aiuti internazionali non può nemmeno pensare alla ricostruzione.
Gli Shebab, del resto, sanno bene che Kisimayo è diventato il cuore pulsante economico e politico di un paese che controllavano militarmente e che hanno perso anche grazie al Kenya.
Si può stare certi che per loro questo porto è un obiettivo strategico e potrebbero ottenere dei vantaggi dal contrasto tra Mogadiscio e Nairobi che sono arrivati anche alle parole grosse.
Blog a cura di Raffaele Masto e della rivista “Africa, missione e cultura”