Alla fine, Matteo Renzi è tornato e in gran spolvero. Il suo silenzio, un po’ sforzato, un po’ studiato, durava da tempo, a parte qualche dichiarazioncina qua e là, non necessariamente a telecamere accese, lasciando spazio e microfono ai suoi fedelissimi.
Oggi, invece, dalla Festa democratica di Bosco Albergati, il sindaco di Firenze e contendente di Pierluigi Bersani alle ultime primarie per la premiership del centrosinistra, ha ripreso la parola e ha infilato un ventaglio di temi, dalle vicende giudiziarie di Berlusconi all’atteggiamento del MoVimento 5 Stelle, sino al finanziamento ai partiti. Al centro del discorso, ovviamente, il Pd, per com’è e come dovrebbe essere nei prossimi mesi.
Inizia in modo relativamente tranquillo il sindaco di Firenze, tra una citazione di Luciano Ligabue (“Lui ha scritto ‘Non è tempo per noi / e forse non lo sarà mai’, ma domandiamoci piuttosto se questo è il nostro tempo e torniamo a lavorare per dare all’Italia un futuro“) e un incoraggiamento alla ministra Cecile Kyenge (“I Calderoli passano, la dignità resta”). Tempo qualche minuto e i temi del dibattito pesano come macigni, senza giri di parole.
Per Renzi la prima cosa da cambiare è l’idea di partito: “In un mondo sempre più precario dobbiamo inventarci un partito diverso che non si basa solo su tessera e appartenenza”. Sa che quella realtà non si costruisce con una pagina Facebook (“Non bisogna perdere il gusto dell’abbraccio e della stretta di mano”), ma guardare avanti è una necessità non rinviabile: “Vorrei un Pd che non si limitasse a dire ‘purtroppo’ e a piangere sul passato, che non aspettasse il futuro, ma che lo anticipasse e lo rendesse più bello“, quasi a sottolineare che tutto questo, finora, non è mai esistito.
Non manca Silvio Berlusconi nel discorso del primo cittadino di Firenze. Al Berlusconi delle cronache giudiziarie, però, è dedicata una battuta veloce, quasi da copione (“Io non condivido, ma rispetto e capisco Bondi, Brunetta, Schifani e Santanchè, ma il compito del Pd è salvare l’Italia: le sentenze si rispettano e la legge è uguale per tutti”.
Il Berlusconi che sembra interessare di più Renzi è un altro, quello da cui i Democratici – a suo dire – sembrano non volersi affrancare, pur volendolo combattere. “Oggi più che mai c’è bisogno di un Pd che non stia insieme solo perché di là c’è una minaccia” rivendica, poi piazza un colpo potente: “Alcuni dirigenti del Pd hanno detto che dobbiamo aspettare di vedere cosa fa Berlusconi: sono vent’anni che facciamo tutto aspettando Berlusconi, almeno il congresso del Pd possiamo farlo senza di lui?”
Quella frase, per quasi tutti, più di qualunque dichiarazione del segretario Epifani è il fischio d’inizio della marcia verso l’assise nazionale (con Renzi candidato?). Prima che qualcuno interpreti il messaggio anche come una chiamata alle urne, con l’aspirazione a qualcosa di più che la segreteria del Pd, il sindaco di Firenze toglie ogni data di scadenza all’esecutivo di Letta, purché non lo si accusi se ne denuncia gli errori: “Io faccio il tifo per il governo, ma deve fare le riforme. Il governo non può avere paura, se fa le cose per me può durare fino al 2018, ma non posso accettare che si indichi come nemico chi dice che si facciano le cose”.
(Per continuare a leggere, clicca sul numero 2)
Chi, secondo Renzi, il voto non lo vuole proprio è Beppe Grillo, come pure i parlamentari che si rifanno a lui: “Grillo è il principale sponsor delle grandi intese. Lui le vuole, ha paura di far cambiare le cose. Chi ha più paura delle elezioni sono i deputati del MoVimento 5 Stelle”.
Non rinuncia a mettere in discussione i “numeri” del M5s (“Il compagno Bruno Tabacci, quello che ha preso meno voti alle nostre primarie, ha preso più voti di tutti i candidati eletti alle parlamentarie”) e invita il suo partito a giocare all’attacco (“Il Pd non deve vivere di fantasmi, Grillo è stata una delusione pazzesca”).
Adelante Pd, dunque, ma la nuova punzecchiatura è proprio per il segretario: “Dico a Epifani: non passiamo il tempo a occuparci di come cambiare le regole delle primarie, parliamo dell’Italia e dei suoi problemi“. Le regole ovviamente non spariscono dal discorso di Renzi (“Credo che non ci sia motivo per cambiarle, ma se vogliono le cambino e fissiamo questa benedetta data del congresso”), ma c’è la consapevolezza che la posta in gioco è un’altra, “tornare a dare speranza all’Italia”.
Come farlo? Renzi a Bosco Albergati scodella la sua ricetta, il suo pentalogo, fatto di cinque “E”: “Educazione, dagli asili nido all’università; energia, perché ai nostri imprenditori dovremo fare un monumento; equità, chiedere un contributo a chi ha le pensioni d’oro è un atto di giustizia; Europa, smettendo di vederla come il nostro grande problema; entusiasmo, perché il Pd sia orgoglioso e coraggioso”.
Il compitino non è facile da svolgere, ma secondo Renzi è possibile, purché lo si faccia tutti insieme: “Non è importante cosa faccio io, ma cosa facciamo noi. Qualcuno mi ha detto ‘mettiti in un angolino, poi alle elezioni ti candidiamo e prendiamo i voti’. Se facciamo questo giochino i voti non li prendiamo: io non posso fare la foglia di fico di questo meccanismo“.
Anche la politica nazionale, nel frattempo, avrebbe i suoi compiti da fare, come abolire il finanziamento pubblico ai partiti: per Renzi rinviarne la discussione parlamentare a settembre è stato “un clamoroso autogol. Nel 1993 gli italiani con referendum votarono per l’abolizione; io votai ‘no’, ma ora è il momento di fare questo passo”.
Quando il sindaco di Firenze finisce di parlare, sono passati 45 minuti d’orologio: ad ascoltarlo, molta più gente di quella che giorni fa aveva accolto il segretario democratico Epifani. Se la sua sarà una corsa verso le primarie per la segreteria del partito, oggi a Bosco Albergati si è assistito senz’altro alla partenza, con Renzi nel doppio ruolo di starter e di atleta: per l’esito della gara, tocca aspettare qualche mese.
Gabriele Maestri