Africa, si fa presto a dire sviluppo
L’Africa, si sa, è il continente dei luoghi comuni. Ci sono quelli tradizionali: la musica, i tamburi, gli animali esotici, i colori, quelli in positivo. La fame, le guerre, i profughi, l’Aids, ebola, quelli in negativo. Il nuovo che avanza, però, ne porta altri di cliché che sono in gran parte legati all’economia.
Si dice, per esempio, che in Africa la Classe Media è triplicata in trenta anni e rappresenta un terzo del continente. Per Classe Media si intendono persone che vivono con oltre dieci dollari al giorno.
Non si dice che spesso la classe media africana non è popolazione produttiva (di beni o servizi) ma semplicemente l’allargamento degli entourage della classe politica al potere. Non si dice anche che gli altri due terzi del miliardo di africani sono rimasti al palo e continuano a vivere nella povertà più assoluta, con meno di due dollari al giorno.
Alcuni paesi africani vengono definiti “Leoni Africani”, parafrasando la definizione, di circa venti anni fa, di “Tigri Asiatiche” per i paesi emergenti del continente asiatico.
Per crescere però bisogna comunicare, avere strategie comuni. I “Leoni” africani, invece, quasi non comunicano tra loro. Tra le varie capitali africane non ci sono collegamenti aerei diretti. Per esempio per andare da Luanda a Libreville bisogna passare per una capitale europea o dal Sudafrica.
L’Africa sarebbe poi il nuovo “paradiso” degli investimenti. Affermazione vera se si considera il saccheggio una forma di investimento. Secondo dati forniti dall’Onu e dalla Banca Mondiale quasi la metà delle compagnie minerarie internazionali che operano in Africa con regolari concessioni di sfruttamento sono società offshore registrate in paradisi fiscali. Un calcolo stimato dice che queste compagnie sottraggono ai governi africani almeno 38 miliardi di dollari all’anno attraverso pratiche di corruzione o stratagemmi finanziari al limite della legalità.
Si dice poi che in Africa, oltre al PIL, cresce la democrazia e la distribuzione della ricchezza. Si omette di dire però che a fronte di un continente straordinariamente ricco di materie prime, in questi ultimi venti anni non sono cresciute le imprese di trasformazione locali, unico modo di distribuire ricchezza: petrolio, cobalto, terre rare, rame, cotone, caffè, thè, soia vengono direttamente esportate, come avveniva per l’avorio, per il caucciù o per l’oro secoli fa.
Infine si dice che l’Africa nei prossimi decenni dirà la sua nel consesso internazionale. Per ora il continente sembra ancora vittima di pratiche non lontane dal vecchio colonialismo che imponeva all’agricoltura dei paesi africani di produrre merci non ad uso interno ma per l’esportazione. E oggi cos’è la pratica del Land Grabbing? Pratica che, peraltro (quella sì), è in forte crescita.
L’Africa ha il 24 per cento dei terreni agricoli del Pianeta. Ma incide nella produzione mondiale solo per il nove per cento. E questa quota, se anche dovesse aumentare, non dovrà essere scambiata per sviluppo: significherà semplicemente che l’accaparramento di terre avrà aumentato la produttività e le produzioni africane saranno sempre più destinate all’esportazione. Come ai vecchi tempi!