Scelta civica, il de prufundis di un progetto mai nato
A ripercorrere gli ultimi mesi del 2012 e i primi del 2013 fino, grossomodo, al giorno delle elezioni, ci si rende conto che l’evento fondamentale che ha caratterizzato la politica italiana durante la campagna elettorale è stato uno e uno solo, al di là di Grillo, Renzi e compagnia: la “salita” in campo dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti, alla testa di un movimento appena nato, Scelta Civica, che si sarebbe immediatamente posto come il perno di una coalizione centrista, assieme all’Udc di Pierferdinando Casini e ai redivivi finiani di Futuro e Libertà.
[ad]Il fatto che tale “rassemblement” avesse come azionisti di maggioranza, oltre ovviamente al Professore, i due ex pupilli di Silvio Berlusconi, evidenziava la vera mission del progetto, vale a dire legittimarsi agli occhi dell’Italia e dell’Europa come la nuova destra liberale ed europeista che al Belpaese era sempre mancata, svuotando elettoralmente e programmaticamente il blocco sociale berlusconiano e leghista, fino ad allora dominante tra gli italiani non di sinistra.
Come dimenticare, durante la campagna elettorale, le dichiarazioni dei leader del Ppe, su tutti Angela Merkel, che avevano individuato in Monti il cavallo di battaglia su cui puntare, scaricando definitivamente Berlusconi e il Pdl. E come dimenticare le reazioni incredule di costoro dopo le elezioni, quando era emerso che il Cavaliere, pur tra tutti gli scandali e il discredito in cui era caduto nei mesi precedenti, aveva comunque raggranellato nelle urne il triplo dei consensi del professore bocconiano.
Le elezioni, appunto, hanno rappresentato per Scelta Civica (e a rimorchio per Udc e Fli) l’inizio della fine: un poco lusinghiero 10% raccolto, a fronte di sondaggi che attestavano la coalizione in una forbice del 15-20%. Dati che, tradotti e trapiantati nello scenario tripolare uscito dalle urne a febbraio, hanno certificato l’irrilevanza politica prima ancora che parlamentare. Insomma, altro che ago della bilancia della politica italiana.
Tutto ciò, naturalmente, ha avuto ripercussioni non di poco conto sul partito, che in realtà partito ancora non è, ma intanto è già scivolato nei sondaggi al 4-5%, vedendo molti suoi elettori tornare all’ovile berlusconiano. Come se non bastasse, nonostante le piccole dimensioni, i montiani non si fanno mancare le faide interne, con litigi continui tra i laici e i liberisti di Italia futura (il think-thank di Montezemolo) e i cattolici dell’Udc.
L’ultima diatriba è di giornata e riguarda l’intervista rilasciata da Pierferdinando Casini al Corriere della sera, nella quale il leader scudocrociato rilancia la possibilità di una futura alleanza con il Pdl, nel segno del Ppe: “Siamo pronti ad assumerci la responsabilità di scegliere. Il Pdl non può sprecare l’occasione scegliendo una deriva avventurista. Se dobbiamo andare verso il bipolarismo del futuro, e creare nuove convergenze in nome delle comuni appartenenze europee del Ppe, l’atteggiamento politico del Pdl in questo momento non può avere equivoci”.
A Casini risponde a stretto giro di posta il deputato montezemoliano Andrea Romano: “Casini lancia l’Udc verso una nuova alleanza con il Pdl, confermando che l’unica versione italiana del Ppe non può che essere quella egemonizzata da Berlusconi. Alla luce di queste e altre dichiarazioni, del tutto legittime ma del tutto lontane dallo spirito e dalla prospettiva di Scelta civica, è sempre più urgente che vi sia un chiarimento definitivo tra i due partiti e la fine di quel fidanzamento elettorale dal quale non è nata alcuna vera alleanza politica”.
L’avventura montiana, pertanto, non sembra avere un domani nell’Italia ormai marchiata a fuoco da un bipolarismo che, al massimo, può tollerare come terzo incomodo solo il movimento di Grillo.
Nel futuro prossimo della politica italiana, di conseguenza, non si comprende affatto quale ruolo possa avere la lista Monti, stretta a tenaglia tra un Pd a probabile guida Renzi, quindi molto attrattivo verso buona parte dei centristi, e un Pdl in cui il dominus sarà sempre un Berlusconi, che si chiami Silvio o Marina.