Se il Paese crede alle bugie

Qual è il destino di un Paese che crede alle bugie? Perché crede a bugie sistematiche, sempre uguali ma sempre nuove? Perché non solo le tollera, ma le premia?

Da qualche giorno quelle di Silvio Berlusconi, per esempio, sono più limpide che mai: sono trascorse le fatidiche «48-60 ore» ma Lampedusa, prevedibilmente, non è un «paradiso» né è tornata a essere abitata da soli lampedusani. L’accordo con Tunisi per i rimpatri non si capisce se esista. Il piano d’intesa con le Regioni annunciato e poismentito, bloccato e rimandato.

Dopo Fukushima, il nucleare è in moratoria per 12 mesi. L’idea di una riforma della giustizia senza leggi ad personam è stata smentita a suon di vaffanculo. La «frustata» all’economia scomparsa. La riduzione delle tasse rinviata, per l’ennesima volta, a data da destinarsi. La compattezza dell’esecutivo in mano alle cinque correnti interne ai Responsabili. Il federalismo una scatola vuota.

Per non parlare dei disastri in politica estera, con Gheddafi combattuto ma compianto, gli aerei impiegati ma senza sparare, le basi date in prestito ma senza convinzione, il Colonnello da esiliare ma non si sa dove, l’asse italo-tedesco annunciato ma smentito. E uno sbandierato ruolo di leadership che si traduce, misteriosamente, in assenze ai vertici cruciali.

Niente di sorprendente per un popolo che ha digerito le menzogne sul terremoto all’Aquila o i rifiuti in Campania, oltre a un macigno inenarrabile di contraddizioni politiche compendiato nella promessa di «rivoluzione liberale» da attuarsi, dice la cronaca recente, tramite salvataggi di Stato che contraddicono il mercato (come quello in corso per Parmalat), finanziamento della cultura con l’aumento delle accise sui carburantie continue, esasperanti, intromissioni nella sfera privata del singolo, dalla sua vita sessuale (fonte di un discrimine giuridico, per il riconoscimento dei propri diritti) all’incredibile vergogna (specie per un liberale) di volerne regolamentare perfino le volontà ultime.

Tutto questo, sia chiaro, non viene detto e scritto solo su questo modesto blog, ma sulle più importanti testate nazionali. Certo, non in prima serata sul Tg1 né, prima della buonanotte, su Porta a Porta, ma in diverse trasmissioni e su molti giornali. E si presuppone che tra i cardini di una democrazia liberale non ci siano cittadini-infanti, da dover imboccare ogni volta aprano la bocca perché affamati. Il senso di responsabilità individuale dovrebbe spingerli a fare uno più uno, spendere quel pugno di  minuti che serve per comprendere che quelle che sembrano bugie sono, in effetti, bugie, e agire di conseguenza. Basta un piccolo sforzo.

Invece non accade. Oppure, se accade, lo si accetta. E lo si premia, attraverso le elezioni. Alcuni dicono sia lo strapotere mediatico del Cavaliere, e indubbiamente si tratta di un fattore decisivo, a cui si sarebbe potuto (e dovuto) immediatamente porre rimedio. Ma siamo sicuri che, dopo 17 anni, sia ancora talmente forte da impedire, a chi lo voglia, di definire “bugie” le bugie? O forse gli italiani non sono così manipolati e manipolabili, e più semplicemente accettano un presidente del Consiglio bugiardo perchétanto lo sono tutti?

Forse, con altre parole, più del conflitto d’interesse potè il qualunquismo. Una tentazione fortissima quando, ad assistere a un dibattito in Aula, si sentono insulti a un disabile, imprecazioni, urla e un italiano talmente stentato da far dubitare di diversi curricula tra quelli presenti nei registri ufficiali. Sono forse questi gli elementi che impediscono ad alcuni di non trarre le dovute conseguenze quando si scopra che il proprio presidente del Consiglio è un bugiardo.

In più, c’è un problema strutturale, che non riguarda l’esposizione all’informazione, ma il suo utilizzo. E’ il cruccio che ha afflitto Daniel Ellsberg, l’ex analista dell’intelligence statunitense ed economista che ha trafugato i Pentagon Papers. Migliaia di pagine dove sono messe nero su bianco tutte le bugie contenute nella versione ufficiale del conflitto data dagli Stati Uniti. I documenti escono nel 1971, ma non provocano la fine delle ostilità, che si protrarranno fino al 1975.

Qualcosa di simile è avvenuto nel 2010, con la pubblicazione da parte di WikiLeaks di una montagna di dettagli sulle reali proporzioni del disastro in Iraq e Afghanistan. Il materiale ha fatto rumore, certo, ma non sono rotolate teste. E non ha avuto le profonde conseguenze in termini di reazione della società civile che Julian Assange aveva immaginato.

Questo per dire cosa? Che gli esseri umani, spesso, non utilizzano le informazioni che possiedono. Agiscono assecondando la menzogna anche quando la riconoscono come tale. Nel 1972 Ellsberg, che ha rischiato di trascorrere il resto dei propri giorni in carcere a causa della sua scelta di divulgare documenti coperti da segreto, ha detto che compiere un gesto simile significa mettersi nell’ottica di accettare la possibilità che i propri concittadini ascoltino la verità, la imparino, la capiscano, e poi continuino a ignorarla. Molto peggio del semplice effetto diretto della disinformazione. Una sorta diindifferenza, qualunquistica appunto, per la distinzione tra vero e falso, tra informazione e disinformazione. Forse è questo che sta avvenendo in Italia, nel 2011.

Negli Stati Uniti questi sintomi si sono ripresentati per le guerre in Iraq, scaturita dalla menzogna delle armi di distruzione di massa, e in Afghanistan. In Italia si parla di «regime» e di «rivoluzione». Parole che, forse, finiscono nello stesso calderone di indifferenza. E ci lasciano, disarmati, con le nostre domande. In particolare la prima: e ora?

 

(Blog dell’autore: IlNichilista)