Elezioni in Norvegia, rimpasti di governo in Danimarca, economia in Finlandia. La politica in Scandinavia sta riprendendo il suo ritmo normale.
Sotto i riflettori c’è soprattutto la Norvegia, dove il prossimo 9 settembre la popolazione sarà chiamata ad eleggere una nuova maggioranza. Stando ai sondaggi, si profila un cambio di governo. Il premier laburista Jens Stoltenberg dovrà cedere il testimone a Erna Solberg, leader del partito della Destra. Il ciclo rosso-verde, durato otto anni, sembra arrivato al capolinea.
Programmi politici a parte (scuola, petrolio, sanità, trasporti, tasse), la sfida si gioca anche sull’entusiasmo che i due leader sanno suscitare. E intorno a Erna Solberg di entusiasmo ce ne è tanto e da un ben po’: “Vedo la possibilità di vedere realizzate le mie idee politiche” ha dichiarato commentando i sondaggi che da mesi la vedono avanti, “ed è ciò che ogni politico sogna”. I norvegesi sembrano ritenerla un primo ministro affidabile, ma Solberg risponde sempre allo stesso modo: “Contano le politiche, non le persone”.
Entusiasmo comincia – anzi torna – a suscitarlo anche Jens Stoltenberg. L’attuale premier figura bene dai confronti televisivi, dà prova di essere ancora capace di parlare ai norvegesi, si dimostra carico e determinato. Dopo un dibattito in tv nel quale è uscito meglio dei suoi avversari, Stoltenberg ha dichiarato: “Io sono fatto per queste cose, è per questo che sono un politico. Ed effettivamente ero impaziente di iniziare”, come a dire: il bello viene adesso. È di questo che gli elettori socialdemocratici hanno bisogno: sentirsi motivati, crederci a dispetto di una pioggia di sondaggi che sembrano già chiudere la partita.
Ora che la campagna elettorale è cominciata sul serio, per Stoltenberg si tratta di tenere alta l’attenzione sulla sua figura e sui suoi temi. In due parole, dettare l’agenda. E il capitolo numero uno resta quello economico. Stoltenberg ammonisce i norvegesi: “Una vittoria delle opposizioni creerebbe incertezze intorno a ciò che è più importante per il nostro paese: la sicurezza per le aziende”. Non solo: i tagli fiscali proposti dall’opposizione aumenterebbero le disuguaglianze nella società. I laburisti promettono invece di investire dodici miliardi di corone nella sanità in caso di vittoria elettorale.
Erna Solberg ha risposto sottolineando ancora una volta la necessità di abbassare le tasse e snellire la burocrazia per facilitare l’impresa. Sulle presunte diseguaglianze, la leader della Destra è ancora più dura: “I norvegesi non hanno motivo di avere paura di noi, il governo è a corto di idee”.
Se il centrosinistra accusa il centrodestra di essere pronto a devastare il tessuto sociale ed economico del paese, i conservatori accusano la coalizione rosso-verde di non ascoltare la gente. Un’accusa alla quale il primo ministro Jens Stoltenberg ha pensato di rispondere con una mossa ad effetto rimbalzata sui media di tutto il mondo: si è finto un tassista e ha scorrazzato ignari clienti in giro per Oslo. Ignari fino a un certo punto, visto che alla fine tutti lo hanno riconosciuto. Il messaggio lo ha spiegato lo stesso Stoltenberg: “Noi ascoltiamo i problemi della gente. Per me è importante sapere cosa pensano veramente le persone. E se c’è un luogo dove le persone dicono quello che pensano, è in taxi”.
In Danimarca questi sono stati i giorni di quel rimpasto di governo di cui s’era cominciato a parlare già in primavera. Sul finire della scorsa settimana, la premier laburista Helle Thorning-Schmidt ha ridisegnato la sua squadra nella speranza di dare slancio a un esecutivo che sin dall’inizio della legislatura ha faticato a far breccia nel cuore dei danesi.
I volti nuovi in realtà non sono molti, si tratta per lo più di pedine spostate. È il caso di Annette VIlhelmsen, leader del Partito Popolare Socialista, che lascia il ministero del Commercio e della Crescita, ceduto al laburista Henrik Sass Larsen, per approdare a quello dell’Integrazione e degli Affari sociali, dove a farle spazio è Karen Hækkerup che si sposta al ministero dell’Agricoltura. Nicolai Wammen siederà a capo del ministero della Difesa, sostituendo Nick Hækkerup che se ne va al dicastero degli Affari europei. Pia Olsen Dyhr è il nuovo ministro dei Trasporti. Resta invece in sella Villy Søvndal, a capo del ministero degli Esteri. Molti analisti lo davano per spacciato. Il rimpasto di governo non ha riguardato neppure il contestato Bjarne Corydon, ministro delle Finanze.
A conti fatti cambia poco negli equilibri politici. Il Partito Popolare Socialista guadagna un dicastero e a cederlo sono i laburisti. Basterà questo rimpasto a far cambiare marcia all’esecutivo? Se la mossa sortirà gli effetti che Thorning-Schmidt si augura lo si capirà presto. Non tanto attraverso i sondaggi, ma contando i voti delle elezioni amministrative in programma a novembre. Sarà un voto locale, vero, ma come sempre capace di far capire ugualmente lo stato di salute di un governo.
A oggi la situazione è precaria: secondo uno dei sondaggi più recenti, i socialdemocratici sono al 17 per cento, il Partito Popolare Socialista al 3,7 per cento, la Sinistra Radicale all’8 per cento. L’Alleanza Rosso-Verde (che assicura al governo un appoggio esterno) è all’11,8 per cento. SI votasse oggi non ci sarebbe storia, vincerebbe largamente il centrodestra dove a fare la voce grossa è sempre più il Partito Popolare Danese, che per la prima volta nella sua storia si arrampica fino al 20 per cento. Significa che è il secondo partito del paese, subito dopo i Liberali al 27 per cento.
Fatto il rimpasto, sono arrivate anche le interviste. La premier Thorning-Schmidt ha dichiarato che ci sono motivi per guardare con ottimismo al futuro: la crisi non è finita ma la Danimarca è tornata in pista, ha detto. La crescita resta bassa, ma la fiducia dei consumatori è data in ripresa e la bassa inflazione contribuisce a un aumento dei salari e a una maggiore circolazione del denaro. Il governo dovrebbe presentare a breve una proposta di bilancio contenente una riduzione del carico fiscale, utile a dare un ulteriore slancio all’economia danese. A spingere in questa direzione sarebbe l’Alleanza Rosso-Verde. Staremo a vedere: è proprio sull’economia, del resto, che all’interno del governo emergono le ruggini più insidiose.
Di bilancio si discute pure in Finlandia. Secondo le previsioni del ministro delle Finanze Jutta Urpilainen, il debito pubblico continuerà a salire. L’anno prossimo toccherà quota 59,2 per cento per arrivare a 59,9 per cento nel 2015: a un soffio cioè dal 60 per cento stabilito dai parametri del Trattato di Maastricht. Helsinki si avvicina a livelli raggiunti solo durante la profonda crisi degli anni ‘90. E anche stavolta è la crisi economica a metterci del suo: il debito pubblico finlandese nel 2008 era pari al 34 per cento del Pil. In cinque anni le cose sono profondamente cambiate. Le prospettive insomma non sono rosee.
La laburista Jutta Urpilainen, a capo del dicastero delle Finanze, ha dichiarato che l’economia finlandese potrebbe ritrovarsi in una situazione peggiore di quella vissuta proprio nei bui anni ’90. Anche per questo nei giorni scorsi il primo ministro Katainen se l’è presa con le polemiche che da qualche tempo avvelenano i rapporti tra socialdemocratici e Partito di Coalizione Nazionale, le due anime principali del governo: basta sterili litigi, ha dichiarato Katainen, bisogna concentrarsi sulle questioni centrali del paese. E ha aggiunto di avere un ottimo rapporto con Urpilainen, la quale negli ultimi tempi ha dovuto incassare più di una critica per il suo modo di gestire l’economia statale.
Anche Olli Rehn, commissario europeo agli Affari economici, è entrato nel dibattito. Rehn ha ricordato come Bruxelles abbia chiesto alla Finlandia di attuare riforme che aumentino la competitività del sistema-paese, così da produrre crescita e occupazione. I binari su cui ci si dovrebbe muovere sono una politica fiscale non soffocante, il sostegno all’educazione e incentivi all’innovazione. In effetti, nulla di nuovo.