In questi giorni, in cui sull’eventualità della grazia a Silvio Berlusconi stanno intervenendo da ogni parte politica, è passata quasi sotto silenzio la via potenzialmente più indolore per consentire la cd. “agibilità politica” del leader del centrodestra.
L’aveva indicata già martedì mattina (dunque prima della nota di Napolitano), sul Sole 24 Ore la giornalista Donatella Stasio.
Quale sarebbe questa via, di cui finora quasi nessuno ha fatto parola? “Berlusconi dovrebbe chiedere l’affidamento in prova al servizio sociale che, in caso di esito positivo, «estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale»“.
Vale la pena di soffermarsi almeno un po’ sulla questione: l’affidamento in prova non è previsto direttamente dal codice di procedura penale, ma dalla legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975), precisamente dall’articolo 47. Si tratta, come è noto, di una delle misure alternative alla detenzione in carcere, che prevede “l’assegnazione a un’associazione di volontariato o a un lavoro socialmente utile – ricorda Stasio – che ne favorisca la «revisione critica»”.
Ora, l’entourage di Berlusconi fino a pochi giorni fa aveva categoricamente escluso la possibilità che l’ex presidente scegliesse la via dell’affidamento ai servizi sociali, un po’ per una questione di immagine, un po’ perché per qualcuno sarebbe stata una sorta di accettazione della condanna. A conti fatti, invece, a Berlusconi potrebbe convenire e non poco.
“Se al termine del periodo di affidamento (dopo un anno, che con lo sconto di 45 giorni per semestre scenderebbe a 10 mesi e 15 giorni) il Tribunale di sorveglianza ritenesse positivo l’esito della prova – segnala la giornalista – cadrebbe l’effetto penale della decadenza da senatore nonché quello della successiva incandidabilità per sei anni”.
La stessa Stasio ricorda come Berlusconi abbia tempo per chiedere la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova fino al 15 ottobre: il Cavaliere è stato condannato a quattro anni di carcere, ma dal momento che l’indulto gliene ha già condonati tre, può optare per l’affidamento visto che il limite di condanna da scontare è appunto di tre anni.
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Nell’immediato cosa accadrebbe? Niente, soprattutto se il Parlamento si desse una mossa.
Se, al momento dell’esecuzione della pena, tanto la giunta delle elezioni e delle immunità del Senato quanto l’aula di Palazzo Madama si fossero già espresse per la presa d’atto della decadenza di Berlusconi per incompatibilità sopraggiunta con il mandato parlamentare, la sua permanenza in aula si interromperebbe in quel momento.
Se ci fossero rinvii, i tempi potrebbero essere più lunghi ma il risultato non cambierebbe, a meno che – di rinvio in rinvio – non si arrivi a coprire tutti i dieci mesi e mezzo di pena residua del Cavaliere.
In quel caso, essendosi estinta sia la pena detentiva, sia “ogni altro effetto penale”, Berlusconi potrebbe non decadere nemmeno e candidarsi in futuro in tutta serenità. Anche perché, negli effetti penali da estinguere, finirebbe anche la pena accessoria che la Corte d’appello di Milano non ha ancora ricalcolato (anche se su questo non sembra esservi certezza, soprattutto in dottrina e la giurisprudenza è scarsina in materia, dunque potrebbe anche cambiare); quanto all’incandidabilità, come effetto penale diretto della sentenza di condanna, sarebbe altrettanto ricompresa nell’estinzione.
Che la soluzione dell’affidamento ai servizi sociali sia comunque tra quelle al vaglio dello staff di Berlusconi, lo testimonierebbe una dichiarazione rilasciata oggi da Francesco Nitto Palma, già ministro della giustizia dell’ultimo governo del Cavaliere: “In caso di detenzione domiciliare, si estinguerebbe solo la pena principale. In caso di affidamento in prova, l’esito positivo della prova travolgerebbe la pena principale, le pene accessorie e gli effetti penali. In caso di grazia, verrebbe annullata la pena principale e, se espressamente detto, le pene accessorie”.
Per sgombrare il campo da ogni dubbio, Palma va oltre: “Proprio per le sue capacità maieutiche vedrei il presidente Berlusconi perfettamente in grado di aiutare persone in difficoltà in qualsiasi contesto di servizio sociale. Se solo pensiamo a quanto ha fatto per le comunità di recupero senza pubblicizzarle in questi anni capiamo bene quanto sia alta la sensibilità di Berlusconi per i problemi dei più deboli. Berlusconi troverebbe argomenti e modalità convincenti per spronare i ragazzi a rinunciare alla droga”.
Considerazioni salvifiche a parte, questo riporta alla mente il precedente di Arnaldo Forlani, condannato a due anni e quattro mesi per il processo Enimont anch’egli da ex Presidente del Consiglio (oltre che ex segretario della Dc), scelse l’affidamento ai servizi sociali e passò il suo tempo a curare la rassegna stampa per la Caritas di Roma. Certo, Forlani a ricandidarsi non ci pensava proprio, a guidare un partito nemmeno; l’esatto contrario di Berlusconi.
Tutto già scritto dunque? Non proprio. Posto che, nel caso, il servizio sociale e i compiti da svolgere dovrebbero essere individuato con cura (fermo il rispetto per Forlani, la pressione mediatica e le esigenze di sicurezza legate a Berlusconi sarebbero certamente ben diverse: cosa accadrebbe, per dire, se venisse destinato proprio a una comunità di recupero per tossicodipendenti?), il magistrato di sorveglianza dovrebbe valutare l’attitudine della pena alla “rieducazione del reo” e non è scontato che la valutazione sia positiva.
A monte però ci sarebbe altro: “Questo percorso presuppone anzitutto che l’ex premier faccia una «revisione critica» rispetto al reato per il quale è stato condannato – segnala ancora Stasio – cioè la frode fiscale di 7,4 milioni di euro per la vendita gonfiata dei diritti Mediaset”. Se poi il Pdl si ostinasse a dire che l’incandidabilità e la decadenza non discendono direttamente dalla condanna (come sta facendo), non otterrebbe un bel nulla. La partita dell’agibilità, insomma, è tutto meno che chiusa.