In Egitto la drammatica crisi è la dimostrazione che, nei paesi arabi, non c’è possibilità di sintesi, di mediazione e di compromesso tra i fautori di forme statali che aprano alle modalità di democrazia di tipo occidentale (elezioni, rappresentanza, verifica, divisione dei poteri), e chi invece vuole governi confessionali, nei quali i leader religiosi siano al contempo leader politici.
La crisi egiziana in questi giorni racconta l’impossibilità materiale di questo compromesso. E racconta anche un’altra cosa: che di fronte ad un conflitto insanabile la ragion di stato viene impersonata da settori della società che detengono la forza fisica, la forza delle armi, cioè l’esercito, le forze di sicurezza, i generali. E questi ultimi vengono immediatamente rafforzati dal fatto che di solito ottengono un riconoscimento dall’esterno, cioè da quei paesi che, al di là delle dichiarazioni di rito o delle condanne enfatiche e generiche della violenza, hanno bisogno di fare riferimento a qualcuno di attendibile per il rispetto di contratti, commesse, impegni internazionali o di una politica estera che non leda i loro interessi.
In questi anni in Egitto (e in molti paesi arabi) quei settori che non riescono a trovare un compromesso sono cresciuti, si sono rafforzati e rappresentano pezzi di società sempre più importanti che non vogliono più aspettare, pensano sia arrivato il momento di costruire una società intorno ai loro bisogni.
Ci sono, da una parte, giovani che vogliono vivere all’europea, che vogliono libertà di costumi e un mercato libero all’interno del quale essere competitivi e mettersi in gioco. Dall’altra ci sono fette di società tradizionale, seppure urbanizzata, che hanno una visione religiosa dell’economia e della politica.
I primi non hanno una rappresentanza, la rivoluzione contro Mubarak della quale sono stati protagonisti non li ha forniti di uno strumento politico capace di adattarsi a situazioni diverse dalla contestazione pura e semplice.
E la Rete e i Social Network, seppure strumenti formidabili, sono neutri. E’ ingenuo pensare che possano essere una scorciatoia della politica.
I secondi invece una rappresentanza ce l’hanno, è l’Organizzazione della Fratellanza Musulmana. Non un partito, ma una sorta di ONG che ha sempre fatto proselitismo con la carità e la beneficenza. Una sorta di stato nello stato che ai tempi di Mubarak era illegale ma tollerato, almeno quando si sostituiva al welfare anche minimo che avrebbe dovuto fornire il governo.
Quelle attività hanno prodotto consenso a mani basse, sono state una chance per giovani che non ne avrebbero avute in considerazione di una crisi economica mondiale che picchia duro anche sui paesi arabi che non fanno parte del ricchissimo clan dei paesi del Golfo. Così la crisi egiziana è diventata un bubbone intrattabile.
Impossibile stare con i militari che hanno mostrato cosa sono: una élite di privilegiati, corrotti e spietati disposti a sparare sulla folla pur di non perdere potere e influenza.
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Impossibile stare con i Fratelli Musulmani che hanno (e vogliono imporre…si è visto con Morsi) una visione della società oscurantista che – ed è la storia di questi anni – finirebbe per diventare un terreno di coltura di quelle formazioni dell’integralismo e del terrorismo islamico armato che hanno denaro e alte protezioni politiche e diplomatiche in alcune monarchie del Golfo e non solo. E queste si, sono il vero nazismo e fascismo del terzo millennio.
Impossibile – o meglio inutile – stare con quella parte di società laica dalla quale è partita la rivolta contro Mubarak e poi quella contro Morsi. Si tratta di un pezzo di società che sa benissimo cosa non vuole, ma fa fatica ad avere una idea di cosa costruire e non riesce nemmeno a capire con quali forme costruire un progetto: un partito? Una coalizione di gruppi?
Sia con Mubarak che con Morsi questa parte di società ha vinto perché l’esercito ha infine ritenuto oggettivamente utile farli vincere.
Insomma l’Egitto è diventato un groviglio nel quale – che ci piaccia o no (e a me non piace) – l’Esercito è l’unico ad avere concretamente delle chance per il futuro. Almeno sul piano interno perché sul piano internazionale il groviglio è ancora più intricato.