Nel PDL “facciamo un po’ come ci pare”

 

Ci piace ricordarlo: culturalmente il Pd è un partito fin troppo omogeneo. Tanto che molto spesso è accusato di essere la mera “riedizione del vecchio compromesso storico”. Una critica tesa ad acuire le differenze politiche tra due tradizioni culturalmente, a detta dei detrattori, inconciliabili. Ma in realtà la stessa critica nella sua accezione minimalista mette in risalto un problema esattamente opposto: il Pd, rispetto ai suoi omologhi europei, appare fin troppo omogeneo a confronto, valga un esempio su tutti, del variegato universo che gravita intorno al Labour britannico.

Appare insomma evidente quanto, nonostante permanga nel partito un serio problema identitario che a tratti rischia di scivolare verso un bieco e inconcludente massimalismo d’Antan, il Partito Democratico in realtà non abbia strutturalmente questi problemi.

Le vicissitudini “correntizie” che vive il principale partito d’opposizione del resto (ed è questa la prova del 9) le sta vivendo in questi giorni anche il principale partito di governo: il Popolo della Libertà.

Un partito che sta vivendo serie fibrillazioni. E se ne sono accorti anche a Palazzo Grazioli.

Due sono infatti le costanti di questo periodo nel credo berlusconiano: le elezioni comunali a Milano saranno fondamentali per la tenuta del governo (da qui la scelta di Berlusconi di candidarsi al comune da capolista: come nel 2006 quando la sua elezione a Palazzo Marino lo portò a presiedere, in qualità di consigliere anziano, il consiglio comunale meneghino) e il partito va riportato sui giusti binari. E curiosamente un risultato non roseo nelle elezioni amministrative di maggio potrebbe favorire un ricambio ai vertici del partito.

Il primo a seminare zizzania è stato senz’altro il buon vecchio Claudio Scajola: l’uomo dell’“eterno ritorno” è deciso infatti a mettere sul piatto i suoi voti e i suoi consensi in Liguria per acquisire maggiore visibilità in un partito che lentamente lo aveva ghettizzato a seguito della famosa casa pagata da altri.

Attraverso la sua fondazione (“copertura” della sua corrente) “Cristoforo Colombo” Scajola, insieme ai parlamentari a lui fedeli, minaccia gruppi autonomi, chiede la testa dei triumviri e sogna magari un ritorno nel governo considerando la vuota casella delle Politiche comunitarie.

Un interessante discrimine di questa guerra “tutti contro tutti” nel Pdl del resto è proprio il grado di malcontento nei confronti dei tre coordinatori. Basti pensare che anche il ministro Altero Matteoli, considerato giustamente tra gli ex aennini più “berlusconiani”, pare essere in rotta col sodale La Russa. Da qui anche una cena della corrente Matteoli o almeno della micro-corrente che fa a capo al sindaco di Orbetello.

Insomma, quanta confusione! Occorre schematizzare un minimo (sport quanto mai in voga sulle testate nazionali). E allora comincia il conto delle correnti del Pdl, divise tra gli ex An e gli ex di Forza Italia.

• Tra gli ex di Alleanza Nazionale permane la componente di “Italia Protagonista”, corrente di La Russa e Gasparri ed ex schieramento di centro della vecchia Alleanza Nazionale. Spicca poi la fondazione “Nuova Italia” (come abbiamo visto, spesso si ricorre a un’associazione o una fondazione per coprire altro) di Gianni Alemanno e di Alfredo Mantovano che racchiude parti di quella che in An era la “Destra Sociale” e sprazzi di quel piccolo mondo antico dello pseudo-conservatorismo italiano. Seguono i famosi “Gabbiani” di Fabio Rampelli e Giorgia Meloni (ma non era stato Alemanno stesso, subito dopo aver vinto le comunali romane, a proporre la Meloni ministro?), il gruppo di Matteoli e i sottovalutati (forse perché perlopiù componente romana) “Capitano Coraggiosi” del sottosegretario Andrea Augello che svolse un ruolo non indifferente nel cercare di ripescare, con arditi trucchi, parlamentari transitati a Fli (del resto ha fatto storia il famoso documento Augello-Moffa!).

• Tra gli ex Forza Italia c’è l’imbarazzo della scelta: Magna Charta dell’ex radicale Quagliariello (ma Pera è scomparso?), ResPubblica di Tremonti (una colonia della Lega nel Pdl o una riedizione delle riunioni dell’Aspen?), i socialisti di Sacconi (che però sognano balene bianche di stampo cislino), i Cofondatori di Rotondi e Caldoro (come dimenticare le liste comuni Dc-Psi alle politiche 2006? e come dimenticare il capolista al Senato nel Lazio Pippo Franco?), la pattuglia di Liberamente (praticamente i giovani ministri rampanti del partito, ma anche vecchie glorie come Romani e Martino, ex tessera numero due di Forza Italia) i Cristiano Popolari di Baccini (da non confondersi con quelli di Giovanardi) eccetera eccetera eccetera.

Il tutto in un quadro che ci hanno insegnato a guardare con occhio critico. Facendoci notare come ci sia nel Pdl ben poca democrazia interna, scarse possibilità di ricambio nelle postazioni veramente importanti e chi più ne ha più ne metta.

E ci si chiede allora se tutto questo viavai sia un segnale a tratti positivo per l’emergere di una vera dialettica interna oppure semplici sotterfugi di potere per ottenere nuovi spazi e posizioni chiave senza poter mettere in discussione la leadership.

Verrebbe da dire: la seconda che hai detto.