E-learning e università telematiche
Il quadro che emerge è insomma quello di un modello istituzionale ed economico distante da quelli che abbiamo considerato finora, ma simile, piuttosto, a quello che hanno messo in piedi gran parte degli istituti privatistici nella scuola secondaria. Tale modello si gioca tutto sul passaggio delle università a distanza da enti che offrono al mercato competenze a enti che offrono al mercato titoli, sfruttando la particolare declinazione italiana dell’accreditamento pubblico del titolo di studio. Come giustamente ricordano gli specchietti informativi più completi sulla complessa questione che periodicamente emerge nel dibattito (qui se ne trova uno particolarmente completo), accreditare pubblicamente la qualità minima richiesta dei corsi di studio è un compito necessario delle istituzioni pubbliche. Ormai da anni, però, nel nostro paese la situazione legislativa legata a queste pratiche è sfuggita di mano e non ha nulla a che vedere con le esigenze originarie.
In primo luogo, il sistema di accreditamento dei corsi di studio è limitato a una pura e semplice autorizzazione preventiva che comprova il rispetto di alcuni requisiti organizzativi considerati essenziali per la buona riuscita del progetto, quali l’offerta di alcuni esami fondamentali e, per le università non statali, all’assunzione di un’ampia quota di docenti attraverso le procedure di selezione fissate per gli atenei pubblici (storicamente così opache e aperte a distorsioni create da pressioni esterne da essere spesso considerate un ostacolo all’assunzione di personale davvero qualificato).
Inoltre, in diverse selezioni le richieste di specifici titoli di laurea sono regolate da una selva di norme e di rimandi, spesso sviluppata in maniera incrementale per stratificazione, che genera non uguaglianza di accesso ai ruoli d’impiego ma piuttosto esclusione dalla stessa possibilità di provare ad essere assunti.
Per le assunzioni nel settore privato, infine, il “pezzo di carta” non ha un valore diretto. Tuttavia, nell’immaginario collettivo, esso conserva un importante valore d’immagine per il conseguimento di posizioni di una certa responsabilità. Nel contempo, in un mercato asfittico e vischioso come quello italiano al valore di facciata del traguardo accademico non devono necessariamente corrispondere capacità professionali corrispondenti: negli ultimi decenni, una parte significativa delle aziende italiane è vissuta soprattutto di committenza statale, e ha ritenuto opportuno assumere in interi settori personale che garantisse buone relazioni con chi avrebbe dovuto decidere dell’assegnazione degli appalti e dell’ammontare dei pagamenti, indipendentemente dalle doti professionali; in caso di difficoltà, poi, la minaccia dei licenziamenti e della delocalizzazione ha molto spesso dato accesso a sussidi pubblici che hanno mantenuto in piedi le imprese comunque, ancora una volta in modo indipendente dalla qualità del lavoro.
In questo contesto, gli atenei telematici hanno sia la possibilità di mettere sul mercato titoli senza sforzi eccessivi sul controllo della qualità dei percorsi di conseguimento, sia una significativa domanda del prodotto nella società, visto che il “pezzo di carta” giusto può essere un elemento di carriera importante anche se non accompagnato in modo compiuto dalla qualità del profilo culturale a cui esso dovrebbe essere legato. Si tratta, come è abbastanza evidente da questa ricostruzione, di un grande affare che nasce dal persistere di una serie di inefficienze del sistema normativo italiano sulla certificazione della qualità degli studi universitari.
Certamente non è necessario cedere a interpretazioni complottiste eccessivamente elaborate, in base alle quali lo stress a cui viene sottoposto il sistema accademico pubblico con le continue restrizioni di bilancio sarebbe finalizzato ad incrementare gli spazi di profitto per forme di istruzione universitaria alternative. Occorre però rilevare quanto sia effettivamente grave che gli istituti beneficiari di questa difficoltà funzionale si siano impegnati negli anni a costruirsi solide aderenze ai vertici di quella classe politica che ha proprio il compito di rimediare a tali “buchi” di legislazione, aderenze cementate dalla partecipazione di numerosi esponenti politici di spicco all’insegnamento, e coronate nel 2010 dall’amichevole visita dell’allora Presidente del Consiglio Berlusconi alla sede dell’università eCampus di Novedrate, proprio mentre il bicentenario della fondazione della Scuola Normale di Pisa, una delle riconosciute punte di diamante dell’eccellenza scientifica nazionale, passava quasi inosservata tra i membri dell’Esecutivo.