Ventotto anni, videomaker, una straordinaria esperienza a Chicago nelle fasi finali della campagna elettorale di Obama, l’impegno nella campagna congressuale a favore di Pippo Civati, anima bolognese di OccupyPD (ruolo che le è già valso la partecipazione ad alcune trasmissioni televisive, tra cui Z a fine aprile e Piazza Pulita in maggio e in giugno): l’italo-americana Elly Schlein è oggi uno dei volti più in vista della next generation del Partito Democratico.
Elly, le cause che hanno portato alla nascita di OccupyPD sono note a tutti, ma vuoi raccontarci invece in che modo OccupyPD ha costruito la sua struttura ed è diventato un movimento organizzato?
In realtà OccupyPD continua a non essere un movimento strutturato. Abbiamo detto sin da principio che, facendo una battaglia contro le correnti, di certo non avremmo voluto diventare una nuova corrente anche noi. All’inizio ci siamo organizzati come potevamo: un hashtag, qualche gruppo su Facebook, a volte siamo stati invitati in televisione e di quelle occasioni, paradossalmente, abbiamo approfittato per conoscerci, fare rete, organizzarci. Ancora oggi la mobilitazione mantiene quel carattere di spontaneità che è stata la forza iniziale, quella delle occupazioni nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica: ci sentiamo e confrontiamo costantemente, anche tra le varie realtà territoriali, e ci organizziamo di volta in volta a seconda della situazione.
Puoi tracciare un identikit dei partecipanti di OccupyPD? Chi si dimostra più sensibile alle vostre istanze e dove invece incontrate le maggiori resistenze?
Tracciare un “identikit” è impossibile perché proveniamo tutti dalle realtà territoriali, dalle sensibilità e dalle storie più diverse. Contrariamente a quanto pensano alcuni, ad esempio, non siamo tutti giovani. Del resto l’abbiamo sempre detto che non si tratta di una battaglia di età, ma di mentalità. Detto ciò, è vero che perlopiù siamo giovani tra i 20 e i 30, e, se vogliamo trovare un tratto che accomuni tutti fuori dalle consuete etichette, semplicemente frustrati e delusi da questo PD. E che ora, insieme, sognano di ricostruire uno spazio di centrosinistra vero e alternativo, che sia in grado di ascoltare davvero gli iscritti e gli elettori e di fare elaborazione politica per il paese, un partito che metta in rete le migliori esperienze e conoscenze che ci sono già, dentro e fuori dal PD, e che faccia una cosa che non gli abbiamo mai visto realmente fare: vincere. La cosa straordinaria è che, se le prime occupazioni sono state lanciate soprattutto da giovani democratici, da quando abbiamo cominciato ad organizzarci in rete in OccupyPD si trova di tutto, e siamo stati inondati di messaggi di sostegno da dentro e fuori il PD. Da iscritti che hanno alle spalle trent’anni di militanza e che ci affidano la loro delusione e l’ultima speranza, ad elettori che hanno smesso di votarci e che ci dicono “andate avanti, perché questa è una battaglia di tutti, e non vediamo l’ora di avere un buon motivo per votare il PD”. Le maggiori resistenze non le incontriamo dentro al partito, dove, soprattutto girando le numerose feste dell’unità, incontriamo iscritti ed elettori di ogni età che la pensano come noi. Le incontriamo fuori, in chi è già rimasto scottato e passa il tempo a spiegarci che non ce la faremo mai, che le cose non cambieranno mai, che il PD è già morto. Non è così, si può cambiare eccome. Basterebbe investire nel cambiamento la stessa energia che si spende a lamentarsi. Quindi dipende solo da noi, tutti insieme.
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Che cosa ti ha insegnato l’esperienza elettorale negli Stati Uniti, e quali sono le metodologie ed i processi che stai cercando di replicare anche da noi?
L’esperienza come volontaria a Chicago mi ha dato umanamente tantissimo, e mi ha profondamente segnato. Perché lì ho visto un popolo tendenzialmente molto meno attento di noi, molto meno interessato alla politica, ricominciare a credere profondamente in un progetto comune di cambiamento, e riappassionarsi alla politica nella sua forma più alta. Che è quella condivisa, che è quella di una battaglia comune. Obama è riuscito a dare una visione e far convergere le speranze, le esigenze e l’entusiasmo di persone completamente diverse in una stessa direzione. Era buffo entrare al quartier generale e vedere giovani liceali lavorare gomito a gomito con anziane pensionate di colore. È evidente che fossero lì per motivi differenti, e Obama ha saputo vincere perché li ha messi insieme, a lavorare fianco a fianco per far vincere la stessa visione del futuro. Su ciò che ho potuto osservare in termini di strategia elettorale potrei dilungarmi troppo, ma mi limito ad una considerazione: lì la differenza per Obama l’hanno fatta i volontari. Persone comuni, che non hanno tessera né funzioni di partito, né esperienza politica alle spalle. Possibile che qui da noi, a febbraio, il PD e la coalizione avessero a disposizione un albo delle primarie (con tutte le polemiche che è costato, tra l’altro) con oltre tre milioni di contatti che non sono minimamente stati coinvolti nella campagna elettorale? Niente. E quello è l’unico vero vantaggio che abbiamo rispetto a Grillo e Berlusconi, ma nessuno ha avuto l’intelligenza politica di utilizzarlo. Praticamente è come dormire su un tesoro.
La prima domanda che spesso sorge quando si ascoltano le vostre idee e i vostri progetti è: “ma cosa restano a fare queste persone nel PD?” Ti giro la domanda: perché restare nel PD? Al di là del senso di appartenenza e della fedeltà alla bandiera, perché lottare ancora per questo partito e invece non ripartire da zero con una formazione nuova? Perché oggi qualcuno dovrebbe ancora scommettere e investire energie nel PD?
Perché c’è un PD che non si vede. Che è quello dei tanti elettori ed iscritti che coi 101 non hanno niente a che fare, che non ne capiscono i moventi o che li capiscono fin troppo bene. Che è quello dei tanti sindaci PD che, anche se nessuno lo ha detto in campagna elettorale, amministrano i “comuni virtuosi”, lavorando per il cambiamento, quello vero, nella vita di ogni giorno e portando risultati concreti, di solito nell’indifferenza dell’alta dirigenza del partito. Perché restare qui? Perché è casa nostra. Perché chi occupa davvero il PD non siamo noi, che difendiamo lo statuto e i valori fondativi di questo partito; i veri occupanti sono i 101, sono coloro che trattano il partito come fosse proprietà privata di alcuni capobastone. Sempre bravissimi a riunirsi davanti ai caminetti, tra l’altro, ma mai una volta che riescano a vincere le elezioni. Siamo qui perché siamo convinti – lo percepivamo prima e ne abbiamo avuto conferma strada facendo – che la “base” del PD sia molto più avanti di questa dirigenza, ormai autoreferenziale e chiusa in se stessa. E quindi certo, non sarà facile cambiare le cose, ma vale la pena tentare. Anche perché si tratta di una cosa banale come far applicare il nostro statuto, secondo cui sono gli elettori ed iscritti a scegliere gli organi dirigenti e la linea politica del PD. Ma chiedete un po’ ai circoli se finora è stato davvero così.
L’importanza della rete, l’orizzontalità del processo democratico e la trasparenza interna spesso hanno fatto accostare OccupyPD al MoVimento 5 Stelle. Cosa vi accomuna e cosa vi differenzia dai grillini, al di là ovviamente della bandiera di partito? Quali parti dell’esperienza del M5S ritenete debbano essere presenti nel PD che immaginate e quali invece considerate un esempio negativo da non imitare?
Personalmente credo che da Grillo ci siamo fatti fregare dei temi fondamentali che avrebbero già dovuto essere al centro della nostra azione politica da tempo (e magari lui al 26% non ci sarebbe arrivato). Sto parlando dell’ambiente, della green economy. Della rete e delle sue potenzialità anche per lo svolgimento del dibattito democratico. Sto parlando del digitale, della lotta alla corruzione e al conflitto di interessi, in tutti i suoi generi. Dopodiché io credo che Grillo non sia la soluzione. Non lo è perché non ha saputo dire nulla, ad esempio, sui diritti civili, non ha una visione complessiva dell’economia, non si capisce cosa voglia far per il lavoro. E non ha detto nulla perché sa che il collante è un (parzialmente legittimo) “Vaffanculo” a tutti, mentre è molto più debole nella sua parte propositiva. Ma la cosa più allarmante trovo sia la questione della democraticità: non c’è nulla di più antidemocratico dell’affermazione “non ci fermeremo fino a che avremo il 100% del parlamento.” In una società democratica il pluralismo è una precondizione necessaria, oltre che un grande valore, ed il partito unico ha un sapore antico ed inquietante. Come non è tollerabile mettere alla porta chiunque osi mettere in discussione i toni del leader. Nelle quotidiane, lunghe discussioni con i sostenitori del M5S che ci incalzano ad uscire dal PD, spesso ci ritroviamo a ricordare loro che il PD sarà pure un disastro, ma intanto noi non veniamo sbattuti fuori perché lo diciamo.
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Spesso per zittire le forme di opposizione interna le si taccia di essere forze unicamente distruttive, senza reali proposte di alternativa. Ecco, quali sono le vostre proposte per il partito? Come deve essere il PD secondo OccupyPD e con quali strumenti intendete raggiungere il vostro obiettivo?
OccupyPD è passato quasi subito dalla protesta (contro lo formazione del governassimo) alla proposta. È un’esigenza che abbiamo sentito già quando siamo andati a protestare davanti all’Assemblea Nazionale dell’11 maggio, in cui abbiamo portato 4 punti che abbiamo sottoposto all’Assemblea. Abbiamo chiesto un congresso aperto, vero, rifondativo. Perché quanto accaduto negli ultimi mesi ha minato alle radici l’identità di questo partito, e bisogna ridefinire le fondamenta di quel che ci tiene insieme. Abbiamo chiesto un partito che si apra alla società civile, che torni ad essere protagonista dei grandi movimenti di opinione e battaglie in difesa dei diritti, un luogo dove si possa sentire a casa tanto chi lotta contro le mafie, quanto chi ha si batte per uno sviluppo sostenibile. Perché in questi anni tutto il movimento che c’è stato (pensiamo a “Se non ora quando?”, pensiamo al “Popolo Viola”, pensiamo ai referendum su acqua e nucleare) è stato fuori dal PD?
A giugno abbiamo organizzato una giornata, a Bologna, che partiva proprio dall’esigenza di mettere insieme “102ideepercambiare il PD”. La nostra risposta ai 101. E “la rivoluzione parte dal metodo”, quindi per la giornata abbiamo utilizzato metodologie partecipative innovative e, anziché le classiche assemblee da cui non si riesce a trarre una sintesi, ci siamo messi attorno a dei tavoli di lavoro a chiederci come rendere effettivamente il partito più aperto, come ridare voce per davvero ad elettori ed iscritti, e come superare le dannate logiche correntizie che sono quelle che hanno condannato allo stallo il PD sino ad ora. Ne è emerso un documento che trovate su www.occupypd.it e che raccoglie le proposte emerse dalla giornata. Proposte che stiamo portando in giro, e che vogliamo lanciare all’interno di un dibattito congressuale ancora troppo schiacciato sui nomi e sulle squadre, e troppo lontano dai temi. Alcuni strumenti su come far incidere la volontà di elettori ed iscritti sulle scelte della dirigenza, ad esempio, sono già previsti a statuto, ma non sono mai stati attuati. Non molti sanno che l’art.27 prevede la possibilità di un referendum tra iscritti.
OccupyPD ha proposte solo legate al rinnovamento del partito o ha anche idee per il Paese?
Ad ora ci siamo occupati perlopiù del partito. Riformare profondamente questo PD, e dargli un senso che pare aver perduto sulla strada delle larghe intese, è il primo passo per poter offrire un cambiamento reale al Paese. Ovviamente abbiamo tutti delle idee per il Paese, su quali siano le priorità e i grandi temi da affrontare nella prospettiva di un cambiamento reale. C’è l’emergenza del lavoro, c’è il problema di un fisco che non funziona, c’è da affrontare il tema delle profonde diseguaglianze sociali che soffocano il Paese. C’è il ritardo enorme accumulato sul fronte dell’ambiente, del digitale e della cultura. Tutte cose che negli altri paesi europei danno lavoro, ma che qui vengono ignorate. Però come OccupyPD, a parte un costante e quotidiano confronto tra noi, non abbiamo elaborato proposte comuni; anche perché non avremo un candidato nostro al Congresso, e saranno i candidati a dover offrire una visione completa e concreta sul futuro del partito e del Paese. Le due cose sono strettamente connesse: noi non siamo “ossessionati dal PD”. Noi vogliamo cambiare il PD perché questo PD non è stato in grado di cambiare il Paese.
OccupyPD è indubbiamente un movimento in crescita: come hai già avuto modo di raccontare gli attestati di stima e di fiducia che state ricevendo si moltiplicano ogni giorno. Ritenete di aver già raggiunto la massa critica per cambiare veramente il PD? Ma soprattutto, in che modo intendete utilizzare il capitale umano e di fiducia che in questo momento avete in mano?
La nostra battaglia è sorta proprio sul presupposto che “siamo più di 101”. E ne abbiamo avuto conferma nei mesi successivi, nel confronto costante con elettori ed iscritti, delusi e arrabbiati come noi. Ma al contempo c’è una grandissima voglia di partecipare, ci sono persone che, mentre gli iscritti storici non rinnovano le tessere, stanno facendo ora la tessera per darci una mano nella battaglia di cambiamento. E lo fanno consapevoli che l’unico modo per cambiare davvero questo PD, e per mettere in minoranza chi ragiona come i 101, è travolgerli con un’ondata di partecipazione e di passione politica. E avremo l’occasione di farlo al congresso, dove le primarie devono essere aperte come sono sempre state. Noi avremo questo semplice ruolo: far capire ad elettori ed iscritti, soprattutto i tanti delusi, che c’è ancora speranza, che c’è una possibilità di cambiare tutto, e che ci riusciamo soltanto se tutti ci prendiamo la responsabilità di partecipare e costruire un’alternativa.
Elly, è inevitabile che le vicende di OccupyPD si intreccino con quelle del prossimo congresso del PD. Ad oggi non risulta che il movimento abbia espresso un proprio candidato alla segreteria né che abbia deciso ufficialmente di appoggiare uno dei candidati già in lizza. Tu però sei apertamente schierata a favore di Pippo Civati. È un’idea personale oppure prelude ad una scelta dell’intero OccupyPD?
La mia è una scelta personale, abbiamo sempre detto che OccupyPD riunisce sensibilità diverse e non è detto che tutti voteremo lo stesso candidato. Certo, pare molto difficile che chi ha vissuto l’esperienza OccupyPD si metta a sostenere un candidato dietro cui si cela l’apparato, o dietro cui si celano i 101. Candidati fortemente alternativi ce ne sono già ufficialmente in campo, io sto con Civati, ma altri potrebbero ancora candidarsi e ognuno farà le sue valutazioni. So che moltissimi degli altri hanno già fatto la mia stessa scelta, non solo per la coerenza e la concretezza, ma anche per il semplice fatto che Civati queste cose le diceva da prima del disastro.
Civati non è il solo a chiedere un rinnovamento radicale del partito, e non è neppure l’esponente PD più in vista a caldeggiare le istanze di chi vuole un reset dell’attuale dirigenza. Quindi, perché Civati?
Per mille ragioni, senza nulla togliere ad altri interpreti del cambiamento. Perché Civati in questi ultimi anni ha dimostrato una coerenza che ormai è merce rara. Perché ha avuto il coraggio di fare le battaglie giuste, anche da solo, e di dire le cose come stavano anche quando ha significato inimicarsi la dirigenza del partito. Perché ha avuto la curiosità di interrogarsi a fondo sul fenomeno Grillo mentre gli altri l’hanno liquidato frettolosamente, col risultato che abbiamo visto a febbraio. Perché in questi anni ha girato tutto il territorio ed ha studiato, ha cercato di mettere in rete le intelligenze migliori sui vari settori, ha dedicato attenzione a tutti quei temi che per me dovrebbero essere al centro di un centrosinistra all’altezza del suo ruolo. E che invece abbiamo lasciato ad altri. E poi perché è in grado di parlare oltre i confini del PD, a tutti coloro che abbiamo perso per strada negli anni, che hanno smesso di votarci o di votare. E infine, perché solo Civati fa una cosa che mi sta particolarmente a cuore: propone l’inversione di quel modello deleterio dell’uomo solo al comando, che ha condannato il nostro Paese all’arretratezza. Propone una politica che torni ad essere partecipata, affollata, condivisa. Che solo così può produrre le soluzioni giuste per il Paese. “Mi chiedono chi c’è dietro di me,” ha detto lanciando la sua campagna a Reggio Emilia. “Nessuno. Ma vedo un sacco di gente davanti.” Questo è lo spirito giusto. Prima di guardare ai delusi di centrodestra, io voglio un segretario che sappia parlare ai delusi dal centrosinistra, che alle elezioni sono sempre di più.
Elly, ti ringraziamo per il tuo tempo e la tua disponibilità, e ti auguriamo ovviamente un grande in bocca al lupo per le tue battaglie. Speriamo di poterci risentire ancora nei prossimi mesi per avere una finestra aperta sul mondo di OccupyPD in vista delle prossime sfide che attendono il vostro movimento, il PD e l’intero Paese.