Tasse e politica. Archiviata l’estate, in Scandinavia la politica ha ripreso a correre.
Dopo settimane di quiete, in Svezia si è riacceso lo scontro tra centrodestra e centrosinistra: tasse ed elettori contesi animano il dibattito.
In Danimarca la premier Thorning-Schmidt prova a puntellare il proprio partito, mentre in Islanda e Finlandia gli esecutivi in carica perdono consensi.
Ma è la Norvegia il paese a ritagliarsi la visibilità maggiore. Il prossimo 9 settembre si terranno le elezioni. Si profila un cambio di governo, con il centrodestra che dovrebbe prevalere sul centrosinistra.
La scorsa settimana il Partito del Progresso ha inaugurato ufficialmente la sua campagna elettorale, una campagna che dovrebbe portarlo a ritagliarsi un ruolo importante in quello che secondo i sondaggi sarà un governo conservatore. Ma le incertezze non mancano. Proprio il Partito del Progresso in questi giorni è stato infatti bersaglio di ‘fuoco amico’.
Trine Skei Grande, leader dei liberali, e Knut Arild Hareide, leader dei cristiano popolari, lo hanno infatti ripetuto ancora una volta: non ci piace l’idea di entrare in un governo insieme al Partito del Progresso. Sarebbero insormontabili le differenze su temi come le esplorazioni petrolifere, i congedi di paternità, la politica fiscale e quella sull’immigrazione. Nulla di nuovo, visto che sono concetti che Trine Skei Grande e Knut Arild Hareide ripetono da mesi. Ma a distanza di venti giorni dal voto assumono un peso completamente diverso.
Insomma il progetto politico di Erna Solberg, leader della Destra e probabile futuro primo ministro, rischia di naufragare: sembra sempre più difficile mettere insieme tutti e quattro i partiti oggi all’opposizione. Alternative? Tante, tantissime e tutte ipotetiche fino a quando i voti virtuali non diventeranno reali. A quel punto i rapporti di forza saranno chiari e sarà anche tempo di scelte.
Ed è quello che in fondo ha ripetuto la stessa Solberg: “Dopo le elezioni ci metteremo intorno a un tavolo, parleremo di politica e discuteremo della fondazione del prossimo governo. Invitiamo tutti a partecipare”. Il danno però è fatto: l’incertezza che c’è intorno al centrodestra è un tema sul quale è sempre più complicato glissare. I partiti conservatori saranno davvero in grado di governare insieme? Gli elettori se lo chiedono e il centrosinistra prova a infilare il coltello nella piaga: “Ho sentito parlare di voi per otto anni” ha detto il premier Stoltenberg durante un confronto tv, “ma non ho ancora capito bene chi siete e cosa volete”.
Ma nello schieramento rosso-verde le cose non sono messe meglio. Il leader del Partito della Sinistra Socialista Audun Lysbakken rischia ad esempio di perdere il suo seggio parlamentare: i sondaggi svelano infatti che il suo partito rischia un tracollo elettorale. Un sondaggio Ipsos pubblicato dall’Aftenposten mostra plasticamente come sia un problema di leadership: solo il 39 per cento degli elettori norvegesi sa che Audun Lysbakken è a capo del Partito della Sinistra Socialista. Le percentuali degli altri sono nettamente più alte. Il record se lo aggiudica Erna Solberg (93 per cento). Messa maluccio è anche Liv Signe Navarsete (48 per cento), alla guida del Partito di Centro.
Non sono buone notizie per il premier laburista Stoltenberg, considerato che centristi e socialisti di sinistra sono quelli con cui ha governato per otto anni. Ed è un paradosso sul quale Lysbakken e Navarsete dovranno riflettere visto che entrambi, proprio facendo parte dell’esecutivo, hanno potuto contare su una esposizione mediatica notevole.
Lysbakken comunque non vuole né può gettare la spugna. “La situazione è grave” ammette, “un Parlamento senza Sinistra Socialista sarebbe un Parlamento che virerebbe pericolosamente verso destra”. E per impedirlo fa leva sul bagaglio più tradizionale: pacifismo, ambientalismo, eguaglianza. Senza un vero colpo di coda, però, potrebbero essere sforzi vani.
Anche in Svezia sono in corso grandi manovre in vista del voto dell’anno prossimo. Stando ai sondaggi, i tre partiti di centrosinistra oggi all’opposizione hanno un vantaggio di una decina di punti percentuali sui quattro partiti di centrodestra al governo. E così il premier Reinfeldt ha deciso di giocarsi una carta pesante: una sforbiciata fiscale. Il primo ministro ha infatti annunciato un taglio delle tasse sul reddito, il quinto dal 2006, anno in cui il centrodestra ha conquistato la maggioranza.
La coalizione di governo vuole inserire il provvedimento nella prossima finanziaria. In pratica un lavoratore medio dovrebbe ritrovarsi in busta paga una quarantina di euro in più. Basterà? I quotidiani non sembrano pensarla così. A questo punto per Reinfeldt si tratta di indicare una via, fare scelte, proporre soluzioni. Quanto fatto fino a oggi non basta più. La disoccupazione resta un problema centrale: il governo non è ancora riuscito a porvi rimedio ma, scrive l’Aftonbladet, deve almeno dare l’impressione di trattare seriamente il tema.
Ma Reinfeldt deve guardarsi anche in casa. Il partito socialdemocratico potrebbe provare a drenare voti dal Partito di Centro con l’obiettivo di colpire il fianco debole dell’alleanza di centrodestra. A scriverlo è stato il quotidiano Svenska Dagbladet. L’elettorato disorientato del Partito di Centro (alle prese negli ultimi mesi con una leadership debole e una linea politica incerta) potrebbe essere dunque la preda su cui i laburisti hanno messo gli occhi.
Manovra politiche se ne intravedono anche in Danimarca. In un lungo articolo, il quotidiano Jylland-Posten ha provato a spiegare cosa si stia muovendo dentro il partito laburista. Quello che è nato dopo il rimpasto di governo di qualche giorno fa è forse un nocciolo duro sul quale la premier Thorning-Schmidt vuole costruire una stabilità politica e una prospettiva di partito. Al fianco del primo ministro ci sono Bjarne Corydon, Mette Frederiksen e Henrik Sass Larsen: tre persone con incarichi d’altissimo livello, visto che parliamo del ministro delle Finanze, del ministro del Lavoro e del ministro del Commercio e della Crescita. In particolare, scrive lo Jylland-Posten, Mette Frederiksen e Henrik Sass Larsen sembrano aver firmato un armistizio tra di loro, mettendo da parte vecchie ruggini in vista di una futura leadership. Dal voto di novembre in poi (in calendario ci sono le amministrative) si potrà capire qualcosa di più.
In Islanda intanto scende il supporto nei confronti del governo che secondo lo studio della Market and Media Research arriva al 49,3 per cento: il mese scorso era il 54 per cento. Politiche poco incisive e priorità non condivise devono aver pesato sul giudizio degli islandesi, mentre probabilmente ha avuto scarsa rilevanza l’incertezza sul futuro del rapporto tra l’isola e l’Unione europea.
Il governo sembra avere infatti idee diverse sul destino del negoziato con Bruxelles. In campagna elettorale il Partito dell’Indipendenza aveva messo nel programma l’ipotesi di un referendum popolare, ma il Partito progressista del premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha fatto sapere che il tema non è mai stato davvero sul tavolo, nel corso dei negoziati che hanno portano alla nascita dell’attuale governo. Insomma l’intera faccenda si fa più nebulosa. E Bruxelles attende risposte con sempre maggiore disappunto.
In Finlandia i sondaggi dimostrano come per i prossimi anni gli elettori vedrebbero bene un governo formato da centristi e socialdemocratici. I Veri Finlandesi, quindi, resterebbero di nuovo fuori dalla stanza dei bottoni. Pare aver deluso fino a oggi la condotta del Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen, eppure quello che i finlandesi proprio non vogliono è una crisi di governo: il 66 per cento spera che l’esecutivo arrivi a fine mandato. Una percentuale ancora alta, ma in erosione visto che a gennaio si trattava del 77 per cento.
Una seconda indagine demoscopica svela poi come i finlandesi siano decisamente a favore delle riforme strutturali: sono pronti a vedere rimesse in discussione le regole del mercato del lavoro, ma non vogliono veder abbassati i livelli di sicurezza sociale. Eppure le dichiarazioni del governo sembrano andare controcorrente: il ministro delle Finanze Jutta Urpilainen ha affermato che l’età pensionabile non verrà alzata prima delle prossime elezioni.