La politica estera del presidente Barack Obama
EGITTO. Il discorso del “Nuovo inizio” aveva galvanizzato l’opinione pubblica mondiale e suscitato importanti speranze nei popoli di molti regimi non democratici del mondo arabo. Su tutti, il popolo egiziano. Oggi quello egiziano è un popolo deluso, di fronte all’attendismo USA e alle vacillazioni mostrate da Washington sulla definizione di “colpo di Stato” riguardo la destituzione di Morsi a inizio luglio. Ad oggi, l’unica intimidazione mossa dagli USA all’Egitto è stata quella di un possibile taglio ai finanziamenti da 1 miliardo e mezzo di dollari annuali che da quarant’anni Washington versa al Cairo. Questi lauti finanziamenti servono all’Egitto non solo per l’acquisto di armi militari, ma anche e soprattutto per mantenere la stabilità ai confini con Israele. Un loro taglio sarebbe quanto di più dannoso potrebbe verificarsi. Tuttavia, riconoscere che c’è stato un golpe, implicherebbe la fine dei finanziamenti all’Egitto, secondo la legge USA.
I Fratelli Musulmani si sentono traditi dagli USA, che non stanno frenando le violenze perpetrate dall’esercito, mentre i loro oppositori si sono sentiti traditi quando l’allora Presidente Morsi violava apertamente i principi democratici, senza che gli USA condannassero tali abusi.
SIRIA. Gli USA sono rimasti alla finestra, e lo sono tuttora in alcuni dei conflitti più violenti e aspri del post- Bush. Accade in Egitto, come in Siria, dove la voce grossa fatta da Washington contro Bashar al-Assad non ha condotto a nulla. Anzi, a qualcosa ha condotto. Il vuoto di potere lasciato dagli USA è stato colmato facilmente da altre potenze regionali: in Egitto è stato colmato dall’Arabia Saudita, storico partner USA, che finanzia, neanche troppo segretamente, l’esercito egiziano. In Siria, gli sciiti filo-iraniani di Hezbollah hanno finora potuto agire indisturbati, rafforzando l’asse anti-americano capeggiato dall’Iran e sostenuto dal governo di Assad. La passività degli USA risulta ancor più stupefacente nel caso della guerra civile siriana, che prosegue da due anni, con 100 000 morti stimati dall’ONU, migliaia di profughi che si affollano quotidianamente ai confini con la Giordania, la Turchia o il Libano, con il rischio di un contagio soprattutto nel Paese dei Cedri e con l’ormai concreta presenza di “infiltrati” tra le fila dell’una e dell’altra fazione. Nonostante i molti e reiterati proclami, Ginevra 2, la grande conferenza sul futuro della Siria, annunciata per primo dal Segretario di Stato USA John Kerry, non solo non si è ancora tenuta, ma non è nemmeno stata fissata una data possibile.
ISRAELE. Anche sul fronte delle relazioni con Israele ci sono molte pecche. Obama si è recato in Israele solo a marzo, per la prima volta da Presidente. E’ venuto a mancare un supporto deciso e veemente ad Israele, il quale ha proseguito con la politica di colonizzazione di Gerusalemme est e della Cisgiordania, contravvenendo alle indicazioni degli USA. Con l’avvio dei negoziato israelo -palestinesi, ripresi il 29 luglio dopo tre anni, sotto la supervisione di John Kerry, l’Amministrazione Obama sembra aver intrapreso un percorso più audace nelle relazioni con Israele. I negoziati non termineranno prima del maggio 2014, sarà un processo lungo, che non è detto che porterà ad una soluzione. Il dubbio è che, con i confinanti di Israele alle presi con guerre civili e rischi di contagio, i negoziati di pace promossi da Obama e Kerry conducano non ad uno stato finale, ma ad un equilibrio ancor più precario.
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