Centrafrica, un altro pezzo di continente a rischio
La situazione in Centrafrica è inquietante. Qualcuno parla di un conflitto interno alimentato da differenze religiose. E gli elementi, per la verità, ci sono tutti.
Ovviamente però non si tratta di un conflitto tra la popolazione che aderisce a religioni diverse. Cristiani, evangelici, protestanti, musulmani, animisti di solito vanno d’accordo, trovano elementi comuni, convivono e individuano concretamente obiettivi collettivi unificanti.
A dividere, o meglio ad usare la religione come elemento di divisione, di solito sono i politici e le lobby che, quasi sempre, stanno dietro di loro.
In Centrafrica accade che la coalizione Seleka che ha rovesciato l’ormai impresentabile presidente Francois Bozizè, con il tacito assenso della Francia, non riesce a mantenere ordine e ad assicurare sicurezza. I nemici non sono esterni, ma interni. Seleka è una coalizione più che eterogenea di forze che a malapena è riuscita ad esprimere un nuovo presidente, quel Michel Djotodia, vecchio oppositore e oscuro funzionario del ministero degli esteri, che è il primo presidente di religione musulmana del Centrafrica.
Il fatto è che in questi mesi sono stati ripetutamente attaccati obiettivi cristiani, sono stati gravemente profanati luoghi di culto non solo cristiana. Spesso la ricostruzione o la limitazione dei danni è stata messa in atto da cristiani e islamici insieme.
Ciò che avviene è ancora più inquietante perché il Centrafrica non è un paese di frontiera tra popolazioni di religione cristiana e musulmana.
Forse proprio per questo è un obiettivo ambito. Se il Centrafrica diventasse un territorio di frontiera, se diventasse un paese conteso la penetrazione dell’integralismo armato e del terrorismo diventerebbe più facile, si tratterebbe di un ulteriore pezzo d’Africa strappato alle sue tradizioni e alla sua storia.
A rendere il tutto sempre più inquietante e a rivelare che si tratta di un conflitto regionale aperto c’è la notizia attendibile e denunciata da testimonianze continue secondo le quali tutti i comandanti militari di Seleka sono musulmani e non sono centrafricani, vengono dal Sudan o dal Ciad e parlano arabo mentre la popolazione centrfricana parla sango o francese. Un gioco sporco, un altro pezzo di Africa a rischio, appunto.