Ci sono cascati un’altra volta. Sarà che sta per tornare Forza Italia, sarà che fare il leader di certi partiti porta a dire determinate cose, ma anche Angelino Alfano non ha resistito alla tentazione di infilare Gesù Cristo nei suoi discorsi, soprattutto al Meeting.
In questo, il segretario del Pdl si è mostrato perfettamente in linea con il suo venerato fondatore Silvio Berlusconi, che proprio alla kermesse ciellina aveva piazzato uno dei suoi numeri migliori in fatto di “res sacrae“.
Già, perché giusto nel 2006 (per la precisione il 25 agosto), il Cavaliere si presentò come sua abitudine alla convention di Rimini: il governo l’aveva perso qualche mese prima per un soffio, ma di grinta e retorica ne aveva da vendere. «Don Giussani ha avuto una parte importante nella decisione che assunsi nel 1993 – assicurò al popolo della colomba -. Mi disse “Il destino ti ha fatto diventare l’uomo della Provvidenza”».
Giù applausi e ovazioni, quella volta come altre volte, anche se Berlusconi difficilmente avrebbe dovuto convincere qualcuno dei presenti a votare per lui (nel senso che già lo facevano). Casomai, qualche uomo di poca fede – compreso, quella volta, persino Antonio Socci – dubitò che quella frase il fondatore di Cl potesse averla detta davvero, ma intervenne subito Marco Palmisano, tra i fondatori di Forza Italia e vicinissimo a don Luigi Giussani: «Nel settembre del 1993 Berlusconi incontrò don Giussani e gli parlò dei suoi progetti politici; alla fine il sacerdote mi disse: “Caro Marco, Berlusconi è l’uomo che ci manda la Provvidenza. Dobbiamo seguirlo. Dillo a tutti gli amici”». Un’investitura, altroché.
Fu forse per questo che, poco più di un anno dopo (25 novembre 1994), a un evento dell’Udc, propose ai presenti una frase rivelatrice: «Sarebbe veramente grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l’unto dal Signore, perché c’è qualcosa di divino dall’essere scelto dalla gente, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini». Pareva quasi di vederla, la scena di un qualche vicario del profeta Samuele (magari con le sembianze di Antonio Tajani o di Antonio Martino, forzisti della prim’ora) pronto a estrarre il corno e a ungere il Prescelto.
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Piccolo particolare: passato un mese scarso da quel novembre 1994, Berlusconi salì al Quirinale per dimettersi da Presidente del Consiglio, dopo il “ribaltone” attuato dalla Lega Nord.
Quella frase, insomma, non gli portò bene. Sarà forse per questo che, in seguito, ha cercato di rinnegarla più volte, quasi a voler allontanare quel momento piuttosto triste.
Un’altra ora grave sarebbe arrivata in seguito con un nuovo”tradimento”, quando alcuni parlamentari eletti con il centrodestra (Mastella e Buttiglione compresi) permisero a Massimo D’Alema di far nascere il suo primo governo varando l’Udr con Francesco Cossiga. Quella volta, però, Berlusconi scomodò il Figlio di Dio in persona: «Anche Gesù ebbe tra i suoi apostoli un traditore – disse – e noi non siamo più bravi di Gesù…».
La seconda persona della Trinità fu invocata dal Cavaliere in altre occasioni. A febbraio del 2006, per dire, in piena campagna elettorale disse a Matrix di essere secondo solo a Napoleone quanto a riforme fatte, poi davanti a una platea di imprenditori ad Ancona, pensò di correggere il tiro. «Su Napoleone ovviamente scherzavo: io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, sopporto tutto, mi sacrifico per tutti».
Qualcuno apprezzò la battuta, molto meno un certo gruppo di cattolici progressisti, indignati anche perché nessun’autorità ecclesiastica protestò per il paragone per lo meno azzardato. Da Cl, ovviamente, niente ramanzina, ma Berlusconi perse ugualmente le elezioni.
E, visto che siamo tornati agli eredi di don Giussani, si diceva di Alfano. Oggi, dal palco del Meeting, ha ricordato come il suo primo atto da guardasigilli sia stato la visita a un carcere, durante la quale parlò con il cappellano: “Lui mi disse di guardare gli occhi dei detenuti perché vi avrei trovato gli occhi di Cristo. L’esempio di Cristo evidenzia l’esigenza del giusto processo e i limiti della giustizia popolare, delle giurie popolari“.
Immagine bella, toccante, pur se non originale (Gustavo Zagrebelsky aveva già scritto da tempo Il “crucifige” e la democrazia). Chiaro che qualcuno abbia pensato subito al processo a Berlusconi, con tutto ciò che ne viene. Forse Alfano però dimentica che, stando alle dichiarazioni degli esponenti del Pdl, i dieci milioni di voti ottenuti dal Cavaliere sono frutto della più grande giuria popolare che il paese possa immaginare: anche quella, a questo punto, ha dei limiti e può sbagliare. Persino quando vota Berlusconi.