Medio Oriente: gli errori si pagano ma con la speranza
Gli altri universi possibili
La rinnovata menzogna di una primavera tardiva avvolge con ossessione un Paese in cui la razionalità concede troppo terreno alla rabbia, al dolore, all’incontrollabile desiderio di vendicarsi, che dilania un popolo di ottantadue milioni di persone. L’Egitto come nessuno avrebbe mai voluto vederlo si impone all’attenzione di un Occidente impreparato, dalla bocca contratta, incapace di pronunciare un sincero auspicio di speranza.
Le notizie delle reazioni dell’esercito filtrano, con la loro subdola brutalità, attraverso le testimonianze di chi la guerra la vive ogni giorno. Del pari, a lasciare impietriti, attoniti sono le novità dei roghi appiccati alle chiese cristiane d’Oriente o dei campi di tortura, l’ultimo cartello di guerra sbandierato dai Fratelli Musulmani, che di umano non ha nemmeno la parvenza.
È ancora possibile opporre una barriera agli artigli della belligeranza?
Come suona beffarda la pretesa di ripristinare l’ordine nazionale, urlata sotto una pioggia di sangue e sfracellata sul fondo dell’imperdonabile! Mentre la classe politica europea ed internazionale è occupata in sofistiche disquisizioni sul come reintegrare lo status quo, il copione si ripete. Agli avvoltoi di ieri si sostituiscono quelli di oggi e poi di domani: è bastata una nuova stagione a lacerare la tregua, passeggera e maledettamente illusoria come una bolla di sapone. Il cerchio perfetto della vulnerabilità.
Resta irrisolto il dilemma di una pace duratura, di cui le mezzelune coraniche e le croci cristiane non vedono nemmeno l’ombra. Ancora, si continua a ripetere che nessun monito possa neutralizzare il boato della disperazione e della distruzione, da tempo incollata alle pareti della civiltà.
Ma attenzione: fare appello ad una pace che qualcuno ama definire “utopia” è come aggrapparsi al riflesso svigorito di uno specchio ingannevole. È lo spettro della codardia, il prendersi gioco della solidarietà e della collaborazione reciproca cui sono tenuti tanto gli individui, quanto le organizzazioni statali. Pertanto, gli incidenti dell’umanità sul terreno sdrucciolevole dei totalitarismi o dell’imperialismo non saranno abbastanza incisivi da giustificare la violenza. Almeno fino a che il bene supremo della concordia non rinuncerà alla propria credibilità.
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“La guerra dunque deve evitare, chi ragiona” (Eur., Troiane)
Nei principali Paesi coinvolti dalle primavere arabe si levano urla di paura, l’instabilità scellerata prevale sulla ragionevolezza, le invocazioni d’aiuto sono più sonore di qualsiasi elogiato cambiamento di regime. L’inverno del 2010 era la data della lotta furibonda, il punto fermo destinato a scavare la memoria. Dopo alibi abusati, menzogne esagerate e furore agghiacciante, non resta oggi che il singulto di un tentativo interrotto, o magari c’è dell’altro… L’arretramento verso una spirale di violenza che non consente di muoversi in avanti. Tra le sbavature di una finta normalità e i corridoi asfissianti della rivoluzione permanente non c’è spazio per ammissioni di colpa; si consumano piuttosto attacchi e difese, nei limiti di ogni prevedibilità, s’intende.
Parlare di Tunisi e del retaggio della “Rivoluzione dei gelsomini” è un gioco a perdere: in due anni e mezzo sono affluiti nelle piazze commercianti vessati dalle forze dell’ordine, giovani che rivendicano i propri diritti e disoccupati ostaggi della propria disperazione. A fronte di omicidi di matrice politica, le manifestazioni degli ultimi giorni concentrano l’attenzione sui disagi sociali ed economici di una Tunisia in cui la tensione non accenna a diminuire. Che cosa accadrà se nemmeno il nuovo governo saprà innalzare il livello di guardia per scostarsi dall’orlo del baratro?
Il male incurabile dell’incertezza politica affligge nondimeno il fantomatico equilibrio della Libia. La chimera di istituzioni (se non altro) meno fragili rimbalza tra gli interessi settari del “dopo Gheddafi”. Anche in tal caso, l’ultimo episodio di omicidio politico compiuto meno di un mese fa ha ricominciato a scuotere gli animi delle diverse fazioni.
È il turno della Siria e delle sue città fantasma, delle presunte vittime del gas nervino e di tutti i civili ai quali persino una via di fuga viene negata. Ma gli allarmi lanciati dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati restano lettera morta. Prevale ancora la sete di una vendetta strillata, di una guerra all’ultimo sangue, in cui rivoluzione e terrorismo hanno imparato a fondersi l’una nell’altro.
Davanti ad un enigma irrisolto e che inibisce qualunque valutazione, la pace mette in mostra la propria fragilità di cristallo: è la sfida dell’umanità contro il pendolo che quotidianamente oscilla tra l’ostilità e la concordia.
Il Medio Oriente è una costellazione di squarci già visti, di realtà vissute già milioni di volte: è il protrarsi di una vecchia pellicola, scolorita e apparentemente impermeabile alle tentate riparazioni.
Eppure c’è un assoluto bisogno di riconciliazione. Oggi forse più di ieri.
L’intollerabile banalità dell’incertezza
In questi giorni, tra le situazioni meno gestibili a livello interno ed internazionale si colloca la complessa evoluzione della Repubblica Araba d’Egitto, la coscienza di una pericolosa catalessi e il rischio di un effetto domino sull’intera area mediorientale. La destituzione del Presidente Morsi ha suscitato le violente rimostranze della Fratellanza Musulmana, che vanno ad aggiungersi alla repressione, crudele e magistralmente dissimulata dall’esercito, incapace di autorizzare anche solo un briciolo di equilibrio. L’Egitto vive da settimane sotto l’egida dell’umiliazione inarrestabile e della dilagante microcriminalità, di cui poco si parla. In fondo, non altro che il valore aggiunto di uno stato di emergenza che si è paradossalmente tramutato in normalità.
Non è un mistero che l’Egitto sia un partner essenziale dell’Unione Europea, ragione che ha indotto il Presidente del Consiglio Europeo van Rompuy e il Presidente della Commissione Barroso ad insistere sulla necessità di revisionare, con una certa urgenza, le relazioni con il Paese nord-africano dall’indubbia rilevanza strategica.
L’Europa esorta l’Egitto alla moderazione, ma le violenze e gli attentati delle ultime settimane sono scatti di un dramma infinito, che paralizza fino ad uccidere qualsiasi giustificazione. Lo sconcerto per l’arroganza spietata induce a riflettere sul fallimento delle soluzioni militari in tutti i contesti successivi alle Primavere Arabe. Appena il tempo di abituarsi a due anni e mezzo di contrasti inarrestabili per comprendere che milioni di parole sono già spazzate via da una politica che è nel frattempo diventata storia.
Certo è che moniti e ultimatum possono essere scherniti, si può anche fare a meno di ammettere di aver errato, ma non si può in alcun modo idolatrare la violenza e l’arbitrarietà. Dovrà allora risolversi l’antico enigma della pace e dell’umanità, fino a che ci sarà tempo.
Luttine Ilenia Buioni