Berlusconi, le “aperturine” di Violante e Monti

Pubblicato il 27 Agosto 2013 alle 11:34 Autore: Gabriele Maestri
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Resta febbrile l’attenzione della politica sul “caso Berlusconi“, con il Pdl che continua a chiedere in ogni occasione “agibilità politica” per il suo leader.

Ogni possibile segno di disponibilità viene immediatamente colto dal centrodestra: così, non stupiscono le reazioni positive a un’intervista a Luciano Violante pubblicata ieri dal Corriere.

Lasciate da parte le possibili (ma poco produttive) strade della grazia e dell’amnistia, ora ci si concentra su una possibile questione di costituzionalità sollevata dalla Giunta delle elezioni del Senato: la Consulta sarebbe chiamata a risolvere i dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme sull’incandidabilità (in particolare sull’applicabilità a fatti antecedenti la loro entrata in vigore) introdotte dalla “legge Severino” e, nel contempo, di voto sulla decadenza di Berlusconi non si parlerebbe per qualche mese.

Luciano Violante

Proprio su questo aspetto si registra una “apertura” da parte di Violante. “Il senatore Berlusconi deve spiegare alla Giunta perché a suo avviso la legge Severino non si applica. E i membri della Giunta hanno il dovere di ascoltare e valutare la sua difesa – ha spiegato l’esponente Pd -. La Corte Costituzionale ha ritenuto che il procedimento davanti alla Giunta è giurisdizionale. Quindi la Giunta, se ritenesse che ci fossero i presupposti, potrebbe sollevare l’eccezione davanti alla Corte”.

A chi, interno o esterno al Pd, bollasse quella decisione come un modo per allungare i tempi, Violante ha risposto: “Questa non sarebbe dilazione; sarebbe applicazione della Costituzione”. Rivestendo i suoi consueti panni di esperto di diritto e procedura penale, ha aggiunto: “Noi siamo una forza legalitaria. La legalità comprende il diritto di difesa e impone di ascoltare le ragioni dell’accusato”.

Con il “noi”, chiaramente, Violante si riferisce al partito e sa di non trovare per le sue parole un’accoglienza naturale. Da giorni, infatti, i dirigenti sono fermi nel dire “no” a qualunque “ricatto” del Pdl, mantenendo saldo il proposito di non votare contro la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Questo, in teoria, sarebbe cosa diversa dall’acconsentire a un “supplemento di indagine” sull’applicabilità della norma facendo intervenire la Consulta (del resto, lo stesso Epifani aveva detto “Niente giustizialismo”), ma non è da escludere che una parte del Pd veda solo l’aspetto dilatorio di questa mossa, col rischio che gli elettori la boccino.

Del resto, le prime dichiarazioni di esponenti del Pdl sul pensiero di Violante sono state decisamente favorevoli: di “prima autorevole apertura al dibattito sulla decisione della Giunta” e di “ritorno alla strada di un garantismo giuridico su cui fondare una visione comune e riformata dell’idea di giustizia” ha parlato Mariastella Gelmini. Per Francesco Maria Giro le parole di Violante sono “incoraggianti, quasi volessero prefigurare un lodo al quale far riferimento per risolvere la delicata questione posta da Berlusconi”.

Anche per questo, forse, il responsabile organizzativo nazionale del Pd Davide Zoggia oggi corregge il tiro: “Ho molta stima di Violante, ma quella è una sua opinione – ha dichiarato all’Unità -. C’e’ una legge e va applicata e non possono esserci deroghe, neanche se si tratta di Berlusconi”.

Mario Monti

Nel frattempo, va registrata la personale apertura di Mario Monti sul tema della grazia a Berlusconi: “Personalmente non troverei a priori scandaloso, né incompatibile con lo stato di diritto, un eventuale provvedimento di clemenza – ha dichiarato al Foglio – che potrebbe essere concesso in considerazione del ruolo avuto da Berlusconi nella vita politica italiana, soprattutto se il suo ‘lascito’ alla politica arricchisse l’articolazione democratica del Paese anziché contribuire all’ulteriore esasperazione del clima politico con danno del Paese“. Anche per Monti, insomma, non c’è spazio per le richieste di “agibilità politica” come condizione per non far saltare il governo.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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