Per parlare di Flavio Tosi, occorre parlare della Lega. Sembrano passati secoli dai tempi in cui le camice verdi marciavano compatte come una perfetta macchina da guerra. Il partito totemico non esiste più.
La dipartita politica del grande capo, piegato dal deflagrare dello scandalo del cerchio magico, delle lauree albanesi del figlio Renzo e della gestione familistica del partito ha aperto le porte all’era Maroni.
Ma nemmeno l’avvicendamento ai piani alti di via Bellerio è servita a riportare il sereno sotto i cieli del Lombardo-veneto. La mal digerita alleanza con il Pdl, il deludente risultato elettorale riportato alle elezioni politiche del febbraio scorso e la tremenda scoppola subita nelle città del nord alle ultime amministrative hanno lasciato ferite profonde sul corpo dei seguaci del Carroccio.
A innescare l’ultima scintilla della mai sopita faida tra bossiani e maroniani sono state le dichiarazioni del Senatùr per il quale alla guida del futuro centrodestra sarebbe preferibile l’opzione Marina Berlusconi rispetto a quella di Flavio Tosi, fedelissimo di Maroni e vero astro nascente della Lega Nord in ricostruzione.
A distanza di qualche giorno è arrivata la risposta del sindaco di Verona che ai microfoni di Agorà su Rai3 ha lasciato intendere di non dare troppo peso alle parole tranchant sul suo conto da parte dell’ex lider maximo leghista, aggiungendo che se avesse dato retta all’opinione di Bossi di presentare solo la lista con il simbolo della Lega si sarebbe perso anche nel capoluogo veneto. Al di là dell’episodio veronese, il solco che ha separato Bossi dall’attuale segretario veneto assume connotati sostanziali e strategici.
Tosi, ancor più di Matteo Salvini – l’altro fedelissimo del segretario federale piazzato al comando della Lega lombarda – sembra il designato da Maroni ad assumere la guida futura delle truppe nordiste. Il primo cittadino veronese punta a rimodellare il profilo identitario del Carroccio, depurandolo dai lineamenti più rozzi ed estremisti (secessione e ribellione fiscale) ma non rinunciando a fare la voce grossa in tema di immigrazione e sicurezza.
(Per proseguire la lettura cliccate su “2″)
Gli orizzonti di Tosi potrebbero, però, non limitarsi alla conquista della cabina di comando delle camice verdi, puntando ancora più in alto, alla leadership del centro destra deberlusconizzato.
E proprio dalle fila del partito azzurro si registrano le prime aperture ad una candidatura dell’esponente leghista nella eventuale contesa delle primarie.
Tosi potrebbe trovarsi magari in competizione con il segretario Pdl Angelino Alfano e con Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) nel caso in cui la linea ereditaria della successione al Cavaliere dovesse essere definitivamente soppiantata dall’indisponibilità della primogenita di Berlusconi.
Tra i primi a lanciare segnali di apertura verso Tosi, l’ex ministro Paolo Romani: per lui le primarie del centro destra sono una “possibilità reale”, nonostante la sentenza definitiva che ha condannato Berlusconi e la sua probabile decadenza dallo scranno senatoriale abbiano dirottato l’attenzione del partito e del suo presidente verso altre ben più imminenti e scottanti questioni.
Preparando una sua possibile discesa nel campo della politica nazionale, il sindaco veronese non ha rinunciato a ragionare a più ampio spettro sulla delicatissima fase che il governo e i partiti stanno attraversando, dopo lo tsunami provocato dalla pronuncia dei giudici della Corte di Cassazione. L’esponente leghista vede, infatti, allontanarsi l’eventualità del ritorno alle urne, nonostante la forzatura del Pdl sulla richiesta di abolizione dell’Imu. “Il Pd – ha affermato Tosi – alla fine cederà perché non può permettersi la caduta del governo Letta”, non essendo ancora pronto per la corsa elettorale.
Nell’attesa di sapere se le sue profezie si riveleranno lungimiranti, Tosi continua a battere palmo a palmo il territorio del Nord per preparare la scalata verso la segretaria di via Bellerio. Per sbarrargli la strada Bossi pensa alla carta di Giancarlo Giorgetti, da sempre vicino al Senatùr ma comunque non inviso alla maggioranza maroniana e dal profilo forgiato dalla lunga e apprezzata (anche al di fuori dei confini leghisti) militanza istituzionale.