Elezioni anticipate in Repubblica Ceca. La scorsa settimana la maggioranza assoluta dei deputati, 140 su 200, ha votato a favore dello scioglimento della Camera bassa del Parlamento, atto conclusivo della crisi politica iniziata lo scorso giugno. Proprio oggi, infatti, il Presidente della Repubblica Milos Zeman ha firmato il decreto per lo scioglimento del Parlamento a Praga, aprendo così la strada a elezioni anticipate, che si terranno tra poco meno di due mesi, il 25 e il 26 ottobre.
L’imminente ritorno alle urne mette fine alla crisi provocata dalla caduta del governo di centrodestra di Petr Necas, coinvolto in uno scandalo di corruzione. E chiude la fase del cosiddetto “governo del presidente”, un esecutivo tecnico, fortemente voluto dallo stesso presidente Zeman.
Per comprendere meglio le dinamiche politiche della Repubblica Ceca occorre addentrarsi e approfondire gli ultimi 24 anni di storia politica del paese, a partire dal quel 1989-1990 che ha decretato la fine di tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale.
I tempi che scandirono la “Rivoluzione di Velluto” (così detta perchè il Partito Comunista di Cecoslovacchia rinunciò pacificamente al potere), furono fulminei: nel giro di poco più di un mese, da metà novembre alla fine di dicembre ’89, il Forum Civico di Vaclav Havel (ex scrittore ed attore di teatro) organizzò una serie di manifestazioni di protesta contro il regime che riscossero grandissimo successo tra la popolazione, tanto da costringere i vertici comunisti a dimettersi. Poche settimane dopo, il 29 dicembre, Havel venne nominato Presidente della Repubblica e Alexander Dubcek, l’eroe della “Primavera di Praga” del 1968, fu chiamato a guidare la Camera.
Da quel giorno, nel paese che ancora per pochi anni si chiamerà Cecoslovacchia, prese avvio il percorso democratico, con tutto ciò che ne deriva: pluralismo, multipartitismo e libertà di espressione, ma anche prime tensioni etniche, fino ad allora saggiamente soffocate dal regime comunista. Nel 1993, infatti, la Cecoslovacchia si divise pacificamente in due repubbliche, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Il ritorno alla democrazia ha, inevitabilmente, comportato il riaffacciarsi nel panorama politico di partiti di diverso orientamento. Una curiosità è che, analogamente a quanto accadde in Polonia con Solidarnòsc, le due maggiori forze politiche ceche, il CSSD, Partito Socialdemocratico (centrosinistra) e l’ODS, Partito Democratico Civico, (centrodestra, al governo dal 2006) sono due dirette emanazioni del Forum Civico di Havel, a testimonianza del fatto di come l’opposizione al comunismo raccogliesse consensi trasversali nel paese.
Entrambi i più grandi partiti cechi hanno cercato e ottenuto un riconoscimento europeo, il CSSD entrando a far parte del Partito socialista europeo, l’OSD aderendo prima al Partito popolare europeo ma uscendone successivamente per formare, assieme ai Conservatori britannici e al partito Diritto e Giustizia polacco, il raggruppamento dei Conservatori e Riformisti europei, più spostato a destra.
Altre forze politiche di minore entità sono il partito TOP ’09 (Tradizione, Responsabilità, Prosperità) marcatamente di destra, il partito centrista e democristiano KDU-CSL e il Partito Verde, che si attesta sempre su buone percentuali (6-7%).
Un discorso a parte, infine, merita KSCM, il Partito Comunista di Boemia e Moravia. Erede diretto del Partito Comunista di Cecoslovacchia, il KSCM ha sempre goduto di un consenso non di poco conto, registrando, alle ultime elezioni del 2010, il 12% dei consensi che lo hanno reso la quarta forza politica del paese dopo ODS, CSSD e TOP 09.
Se la crescita dei comunisti continuerà lo vedremo nelle elezioni anticpate di fine ottobre; ad oggi ci bastano le analisi di diversi politologi cechi, che vedono come primo partito il CSSD senza che però esso consegua la maggioranza assoluta, cosa che potrebbe spingere i socialdemocratici a formare un governo di coalizione proprio con il KSCM.