Mercoledì il Parlamento somalo ha eletto con voto unanime (215 voti su 215) Primo Ministro Mohamed Hussein Roble che è stato già investito della carica dal presidente Mohamed Abdullahi Mohamed.
Dopo quasi due mesi dalla sfiducia al precedente Primo Ministro, fatto decadere dalle sue funzioni poiché reo di non favorire la transizione democratica e di opporsi a elezioni democratiche che dovrebbero in teoria tenersi entro febbraio del 2021, la Somalia (o almeno una sua parte) ha nuovamente una figura politica di spicco a cui appoggiarsi.
L’accordo sulla figura di Mohamed Hussein Roble è stato trovato dopo due mesi di intense trattative tra i leader delle cinque principali entità territoriali somale (la Somalia è de iure una repubblica federale ma nella pratica numerose zone sfuggono al controllo del governo centrale e sono autonome de facto).
Il neo-presidente che potremmo definire un Homo Novus della politica è laureato in ingegneria civile alla Somali National University e ha lavorato per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
I suoi incarichi in questi ultimi mesi prima della fine del mandato governativo saranno:
- Guidare al meglio il paese verso le ormai prossime elezioni;
- Promuovere il buongoverno e combattere la dilagante corruzione;
- Incoraggiare la transizione democratica che in questi anni è stata frenata da disaccordi tra le diverse parti politiche;
- Contrastare la sempre presente minaccia terroristica causata da gruppi armati affiliati ad al-Quaida come i miliziani di al-Shabaab.
La figura di Mohamed Hussein Roble è ben vista anche dalla comunità internazionale, che ha avuto anche voce in capitolo negli accordi raggiunti per la sua elezione, poiché egli sembra non essere allineato a nessuna forza politica e presentarsi quindi come attore super partes.
Che si sia finalmente giunti a una decisiva svolta per il futuro non solo della Somalia ma dell’intero corno Africa?
Sicuramente un processo che porti una generale pacificazione dell’area necessita di un certo tempo. I tentativi percorsi nel corso degli anni e la totale incapacità anche dell’ONU di far intraprendere un serio processo di pace e miglioramento degli standard di vita non sono segnali ottimistici.